Ucciso dalla sua guardia del corpo. Da chi avrebbe dovuto difendere la sua vita. Eliminato perché aveva osato pronunciarsi a favore della grazia ad Asia Bibi, la madre cristiana messa a morte dalla giustizia pachistana in virtù di quella legge anti-blasfemia che sta diventando sempre di più un’arma sofisticata della persecuzione ai danni dei cristiani in Pakistan.Salman Taseer, governatore del Punjab, 66 anni, aveva appena lasciato la sua residenza a Islamabad nella cosiddetta “F6”, la zona esclusiva abitata dai ceti più facoltosi e dagli stranieri, nonché il quadrilatero che ospita diverse rappresentanze diplomatiche. Il governatore era accompagnato da uno degli uomini che ne avrebbero dovuto garantire la sicurezza: l’agente Mumtaz Qadri, 26 anni. L’uomo gli ha invece rivolto contro l’arma. Esplodendo decine di colpi. Dopo l’arresto ha voluto così motivare il suo gesto: «Ho ucciso il governatore perché aveva criticato la legge sulla blasfemia definendola una “kala kanoon” (in urdu “una legge nera”)», una legge negativa.La “colpa” di Taseer? Essersi speso a favore di Asia Bibi dopo averla incontrata in carcere e pronunciato contro la legge anti-blasfemia, un peroramento che gli ha guadagnato l’odio da gruppi islamici più radicali del Paese, secondo quanto ha raccontato Shahbaz Bhatti, il ministro per le minoranze pachistano, anche lui nel mirino. Il clima politico del Paese è sempre più avvelenato. Solo pochi giorni fa i fondamentalisti islamici sono scesi in piazza per dire no a qualsiasi ipotesi di riforma della legge sulla blasfemia. Un messaggio inequivocabile: gli estremisti – paralizzando interi distretti di Karachi, Lahore, Gujranwala, Peshawar e Quetta – hanno ribadito che ogni modifica della legge antiblasfemia «dovrà passare sui nostri cadaveri». Con l’omicidio di Salman Taseer – membro del Partito popolare pachistano (Ppp) e stretto collaboratore del presidente Zardari – il Pakistan rischia di ricadere nel baratro che più volte ha ingoiato la sua vita civile: si tratta dell’assassinio di più alto profilo di una figura politica da quando l’ex primo ministro Benazir Bhutto fu uccisa nel dicembre 2007. E l’omicidio “cade” in un Paese già scosso da una crisi che potrebbe portare al collasso del governo, e sempre incalzato dallo spettro di una “rivolta” islamista. Il Punjab non è una regione qualsiasi del Pakistan. È la più ricca e popolosa. Ma soprattutto è quello spicchio di Paese dal quale provengono gran parte dei quadri dell’esercito e degli apparati di sicurezza. L’infiltrazione dei fondamentalisti negli apparati di sicurezza rappresenta, per gli analisti, una minaccia gravissima al pari del rischio della proliferazione nucleare e della guerra alle istituzioni portata senza sosta dai taleban. E il tasso di violenza resta nel Paese sempre altissimo. Il quotidiano The News ha “censito” nell’anno appena concluso 52 azioni kamikaze che hanno causato 1224 morti. Impressionante la sequela: il numero degli uccisi a causa di azioni terroristiche è schizzato da 837 nel 2007 a 965 nel 2008, a 1217 nel 2009 e 1224 nel 2010.Non solo. La crisi politica rischia di aggrovigliare ancora la situazione. Ieri il premier Gilani ieri si è affrettato a condannare l’omicidio – mentre il Ppp proclamava tre giorni di lutto –, invitando il Paese alla moderazione. Ma l’instabilità lo incalza. Il principale partito dell’opposizione pachistana ha dato un ultimatum di 72 ore al suo governo, che domenica scorsa ha perso la maggioranza in Parlamento in seguito all’abbandono di un influente partito regionale della provincia del Sindh. L’ex premier Nawaz Sharif, che guida il partito Plm-N, ha chiesto alcune riforme fiscali e la revoca dell’aumento della benzina deciso dall’inizio dell’anno. Tra gli analisti c’è chi sostiene che dietro la decisione del del Movimento Muttahida Qaumi (MQM) di abbandonare il governo, ci sarebbe in realtà l’ombra dell’ex presidente Pervez Musharraf, pronto a riguadagnare un ruolo di primo piano sulla scena politica pachistana.