Scene della battaglia con cui il 19 settembre 2023 l'Azerbaigian ha riconquistato il Nagorno-Karabakh - Immagine di repertorio
Il messaggio è arrivato il 7 febbraio. In vista della quinta elezione plebiscitaria, il presidente Aliyev e la moglie Mehriban Aliyev hanno votato a Khankendi (in armeno Stepanakert), principale città del Nagorno-Karabakh. Dalle urne Aliyev è uscito con il 92% di preferenze. E recandosi al voto nel riconquistato Nagorno, Aliyev avviava l’Operazione Ritorno: occupare le case degli armeni cristiani scacciati e consegnarle alle famiglie azere.
Due giorni fa l’Azerbaigian ha ucciso 4 soldati armeni dispiegati sul confine, come “atto di vendetta” per alcune raffiche sparate dall’esercito armeno, che non avevano provocato feriti. Dopo il pogrom di settembre contro la minoranza cristiana (oltre 200 i morti accertati ma l’Azerbaigian impedisce di compiere verifiche agli organismi internazionali) ora le mire di Baku vanno in due direzioni. Primo passo: il ripopolamento della regione. Secondo: l’apertura di un corridoio in territorio armeno che colleghi direttamente all’alleato forte, la Turchia di Erdogan.
Intanto sono partiti nuovi cantieri immobiliari, lavori per nuove autostrade e persino un aeroporto e la promessa di “villaggi smart”, ad alta attrazione tecnologica per giovani famiglie e nuove imprese. A Baku se ne parla come del «grande ritorno ai territori liberati dell’Azerbaigian», dopo la fuga di migliaia di azeri durante le guerre del 1988-1994. Il controesodo non c’è ancora stato, ma già si vedono le prime famiglie che prendono possesso di abitazioni appartenute alla comunità armena. Solo nel 2023 l’Azerbaigian ha stanziato 3,1 miliardi di dollari destinati al “reinsediamento” che ha la scopo di scoraggiare ogni speranza di un ritorno per la comunità cristiana.
Allo spostamento della popolazione azera verso ilNagorno, in perfetto stile sovietico, ne corrisponde uno inverso. Dallo scorso settembre, dopo la guerra lampo con cui Baku ha riconquistato il cuore della regione nel Caucaso Meridionale, 130mila persone di etnia armena, quasi l’intera popolazione di origine armena del Nagorno Karabakh, hanno lasciato l’enclave occupata dai separatisti sostenuti da Erevan nei primi anni Novanta. I pochi rimasti non hanno potuto neanche votare.
Che non vi sia più alcuna speranza per un reinsediamento degli armeni nella regione che a Erevan chiamano Artsakh, lo conferma anche lo stanziamento dell’Unione Europea per la loro definitiva sistemazione in Armenia. Da Bruxelles arriveranno altri 5,5 milioni di euro in aiuti umanitari.
Il negoziato di pace procede a strattoni. Baku chiede che le parti si incontrino «nella regione», rifiutando l’ipotesi di colloqui presso l’Unione Europea o negli Usa. Di recente i diplomatici dei due Paesi si sono scambiati alcune bozze. Dopo la lettura, l’Armenia ha accusato l’Azerbaijan di «regressione». Baku ha replicato sostenendo che Erevan vuole guadagnare tempo. Di certo l’Azerbaigian ha cambiato posizione sul ripristino di una via di collegamento ferroviario e stradale tra l’Azerbaijan e la sua exclave di Nakhchivan, incastrata tra Armenia e Turchia. Dopo la riconquista del Nagorno le autorità di Baku avevano annunciato che avrebbe usato il territorio dell’Iran per aprire un corridoio diretto con il Nakhchivan, ma il mese scorso ha nuovamente chiesto di poter attraversare l’Armenia, come inizialmente previsto.
Il timore di diversi funzionari armeni è che dopo la riconquista del Karabakh, l’Azerbaijan possa voler tracciare la strada ricorrendo alla forza. Abbastanza perché Josep Borrell, commissario Ue agli Esteri, mettesse in guardia per le «gravi conseguenze» di un’eventuale incursione militare.