lunedì 15 marzo 2021
Il giorno più sanguinoso dall'inizio delle proteste. Introdotta la legge marziale dopo assalto alle fabbriche cinesi. Rinviata l'udienza del processo contro Suu Kyi. Il messaggio della Santa Sede
Domenica di sangue: 59 vittime negli scontri. I vescovi: stop alle violenze

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Proseguono le proteste contro il golpe dei militari in Myanmar (ex Birmania) e si aggrava il bilancio delle vittime della dura repressione delle forze di sicurezza. Secondo Aapp (Associazione di assistenza ai detenuti politici) i morti sono 38, ma gli ospedali riferiscono di 59 morti e 129 feriti solo nelle manifestazioni di ieri a Yangon.
Lo riferisce anche il sito di informazione birmano Myanmar Now, citando fonti di tre ospedali dell'ex capitale e aggiungendo che gli stessi dottori credono che il bilancio sia ancora più alto. Se confermato, la giornata di domenica sarebbe la più sanguinosa dall'inizio delle proteste contro il golpe del 1 febbraio.

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L'inviata speciale Onu, Schraner Burgener, parla di "resoconti strazianti di omicidi, maltrattamenti dei manifestanti e torture di prigionieri durante il fine settimana".

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La legge marziale è stata introdotta dalla giunta militare del Myanmar in due distretti di Yangon dopo assalti e saccheggi in alcune fabbriche di proprietà cinese. L'annuncio è giunto domenica, al termine di una giornata di scontri tra manifestanti e reparti dell'esercito e della polizia.
Secondo Myanmar Now, agenzia di stampa con sede a Yangon che trasmette in birmano e in inglese, la legge marziale è stata introdotta nei distretti di Hlaing Tharyar e Shwepyitha. Stando all'ambasciata di Pechino, "fabbriche sono state saccheggiate e distrutte e molti dipendenti cinesi sono stati feriti e bloccati".

In un messaggio diffuso sui social network la rappresentanza diplomatica ha chiesto alla giunta "di adottare misure efficaci per fermare tutte le azioni violente, punire i responsabili nel rispetto della legge e garantire la sicurezza delle aziende e del personale cinese in Myanmar".

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Uno dei capi delle proteste, Mahn Win Khaing Than, esponente della Lega nazionale per la democrazia del Premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, ha affermato che ora i dimostranti devono "difendersi" dalla repressione dei militari. Fino all'1 febbraio alla guida dell'Amyotha Hluttaw, la Camera delle nazionalità del Myanmar, il dirigente ha parlato di "uno dei momenti più bui nella storia del Paese" e rivolto un appello alla "rivoluzione".

Inoltre, in Myanmar rimane interrotto l'accesso a Internet dei cellulari, fondamentale per lo scambio di informazioni tra i manifestanti. Secondo Netblocks, che monitora i blackout di Internet nel mondo, la connessione Wi-Fi è stata ristabilita alle 6:30 ora locale dopo il solito taglio notturno, ma la trasmissione dei dati tramite cellulare continua ad essere bloccata in tutto il Paese. "La maggior parte degli utenti dipende dai telefoni cellulari nel lavoro quotidiano e nelle proteste", ha ricordato l'organizzazione su Twitter.
Le interruzioni notturne di Internet sono diventate abituali dopo il golpe, ma di solito la connessione torna la mattina, tanto per il Wi-Fi che per i dati dei cellulari.

Per quanto riguarda la terza udienza in teleconferenza del processo contro Aung San Suu Kyi, prevista per oggi, è stata rinviata alla settimana prossima a causa di problemi tecnici con la connessione Internet. Lo ha annunciato l'avvocato del premio Nobel per la Pace, contro la quale sono stati emessi quattro capi di imputazione. Nel Paese la connessione Internet via telefonia mobile è stata interrotta nelle ultime ore, mentre quella via cavo funziona a singhiozzo.

L'appello dei vescovi cattolici

"Forti del mandato e dell'incoraggiamento della Santa Sede, noi Chiesa cattolica ci impegniamo, insieme con tutte le persone di buona volontà, nel compito di vedere questa nazione risorgere nella reciproca comprensione e pace": è quanto affermano i Vescovi della Conferenza Episcopale cattolica del Myanmar, in un testo che è stato inviato a tutte le diocesi della nazione e ai responsabili politici, ai leader religiosi, ai leader della società civile.

Il testo, riferisce l'agenzia Fides, contiene un accorato appello a far cessare ogni violenza e rende pubblico un messaggio proveniente dalla Santa Sede perché si trovi nel paese una strada di pace.

Recita il testo, firmato dal cardinale Charlea Maung Bo, arcivescovo di Yangon, e presidente della Conferenza episcopale cattolica del Myanmar, nonché presidente della Federazione delle Conferenze episcopali cattoliche dell'Asia: "In qualità di leader della Chiesa cattolica del Myanmar, auguriamo a tutti voi la pace. Esortiamo tutte le parti in Myanmar a cercare la pace. Nelle ultime settimane abbiamo affrontato grandi sfide come nazione".

"Questa crisi non sarà risolta da spargimenti di sangue", si legge ancora nel documento. "Cercate la pace. Gli omicidi devono cessare immediatamente. Vi sono così tanti morti. Il sangue versato non è il sangue dei nemici . È il sangue delle nostre sorelle e dei nostri fratelli, dei nostri cittadini. Siamo una nazione che ha cullato un sogno. I nostri giovani hanno vissuto nella speranza. Non diventiamo una nazione di insensata delusione. Smettete di uccidere. Cessate la violenza. Abbandonate il sentiero delle atrocità. Lasciate che tutti gli innocenti siano rilasciati. Sono la nostra gente".

Il testo dei Vescovi rende poi noto e riporta il messaggio che il segretario di Stato Vaticano, il Cardinale Pietro Parolin, ha scritto per ribadire i messaggi di Papa rivolti al Myanmar. In particolare, il messaggio giunto dalla Santa Sede "incoraggia la Chiesa a impegnarsi nel processo di pace", dicono i vescovi birmani, rilevando che l testo "ribadisce la fraterna solidarietà del Papa a tutto il popolo del Myanmar" ed esprime "a suo nome i suoi sentimenti di solidarietà con il popolo del Myanmar".

Nel Messaggio del cardinale Parolin si ricordano i recenti interventi di papa Francesco (all'Angeus di domenica 7 febbraio, e nel Discorso al Corpo diplomatico accreditato in Vaticano, l'8 febbraio), in cui il Papa auspica di "servire il bene comune, promuovendo la giustizia sociale e la stabilità nazionale per un'armoniosa convivenza democratica", e chiede che "le aspirazioni del popolo del Myanmar non siano soffocate dalla violenza".

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