Sotto una nuvola di fumo nero e acre brucia la città del moderno faraone, illuminata nel buio dai fuochi che si alzano dalle carcasse delle macchine e ormai in preda al saccheggio di massa. In serata, con un discorso alla tv di Stato, il presidente Mubarak si è rivolto direttamente al popolo esortandolo a smetterla con la violenza e annunciando le dimissioni del governo che «da domani sarà nuovo». La giornata era iniziata con una manifestazione, con una grande voglia di libertà che ha sfidato un impressionante dispiegamento di forze messe in campo dal vecchio rais. «La Mubarak!», no a Mubarak, è il grido che risuona sempre più forte e rimbalza dal Cairo ad Alessandria, da Suez a Porto Said in mezzo agli spari e ai cupi rimbombi delle armi da fuoco. «La giornata della collera» al culmine della protesta popolare che dura da tre giorni, ieri è diventata una giornata di guerra tra il regime egiziano e il suo popolo, segnando un drammatico punto di non ritorno dagli esiti imprevedibili.È passato da poco mezzogiorno quando la gente dopo la preghiera del venerdì in Moschea si dirige verso piazza Tahrir, simbolo dell’indipendenza del Paese, ma tutte le strade d’accesso sono sbarrate dai reparti antisommossa, migliaia di poliziotti in tuta nera e con il manganello ben in mostra. Non c’è alcuna possibilità di coordinamento tra i manifestanti. Fin dalle prime ore del mattino non ci si può connettere a internet, bloccati pure i telefoni cellulari e i satellitari. Il governo egiziano, l’alleato privilegiato dell’America e dell’Europa nel mondo arabo si comporta come la Cina comunista e la Birmania militarizzata. Ancora una volta sembrerebbe che Mubarak si stia aggiudicando la partita. In città piccoli gruppi dimostranti si fermano davanti ai cordoni di sicurezza, girano dietro l’angolo per rispuntare da un’altra parte.La scintilla della rivolta s’accende davanti alla grande Moschea di al-Fath all’inizio del lungo viale Ramsis che conduce alla piazza centrale. Ci troviamo in mezzo a una folla un po’ disorientata, non sa cosa fare ma ecco che all’improvviso siamo investiti dai gas lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo. La gente arretra poi forma vari cortei che si ingrossano man mano e avanzano lungo il viale. Sono soprattutto giovani in jeans e maglietta, gente semplice e normale mentre sono pochi gli uomini barbuti in tunica grigia, il distintivo degli integralisti come i Fratelli musulmani. I dimostranti sventolano le bandiere nazionali sollevano cartelli con la scritta «Mubarak c’è un aereo pronto anche per te!», alludendo alla fuga precipitosa del dittatore tunisino Ben Ali. Dall’alto del ponte 6 ottobre molti si fermano a guardare, ma poi da spettatori passivi si trasformano in protagonisti attivi, si uniscono ai manifestanti battendo le mani e urlando lo slogan contro il rais. Decine di migliaia di persone sono scese in piazza per la più imponente dimostrazione di protesta mai avvenuta negli ultimi trent’anni nel lungo regno dal faraone (così gli egiziani chiamano Mubarak), che sembra ormai agli sgoccioli.Compaiono ragazzi con la maschera sul volto davanti all’hotel Sheraton. Vedo una camionetta della polizia data alle fiamme sulla Corniche, l’elegante lungo fiume che costeggia il Nilo. Bruciano copertoni e si improvvisano barricate. Gli scontri sono sempre più violenti e si allargano ad altri quartieri della capitale. Gli incidenti scoppiano anche davanti all’università al-Azhar, centro intellettuale dell’Islam, viene presa d’assalto la sede del Partito nazionale democratico di Mubarak. Assediata per ore dai manifestanti pure la sede della tv di stato. La polizia dopo aver usato idranti e lacrimogeni per disperdere la folla passa alle maniere forti: carica la folla e la investe con le camionette. Fra i dimostranti si aggirano in borghese gli uomini del Mukabarat, i servizi segreti egiziani che colpiscono alle spalle. Corre voce che ci siano due morti fra i manifestanti, colpiti mentre tentavano di entrare in piazza Tahrir. Ci sono 13 vittime anche a Suez, secondo fonti mediche, e due a Mansura. Cinque morti solo al Cairo, 20 in tutto il Paese, oltre 900 i feriti nella capitale. Il governo proclama il coprifuoco fino alle sette di questa mattina. Prima al Cairo, ad Alessandria e Suez. A Suez, l’altro principale focolaio di rivolta, l’esercito intervenuto per sgomberare il centro avrebbe fraternizzato con i rivoltosi.A un certo punto, quando la situazione è ormai sfuggita di mano, anche al centro del Cairo si vedono comparire i blindati dell’esercito e i carri armati. Qualche colpo d’artiglieria pesante viene sparato. Brutto presagio per i giorni a venire. «L’inizio della fine per il regime di Mubarak » dice el-Baradei, l’ex direttore dell’Agenzia per l’energia atomica dell’Onu e Premio Nobel per la pace, tornato in patria per candidarsi alla guida del futuro governo di transizione. Dopo aver partecipato alla preghiera nel sobborgo di Giza, anche lui ha sfilato con la folla.Ma questa è una rivolta dal basso senza leader che si impongono dal-l’alto, e c’è qualcosa di emblematico nel fatto che el-Baradei ieri non abbia potuto unirsi ai dimostranti, riportato a casa sua dalle forze di sicurezza. Un presidio è rimasto davanti a casa fino a sera, ma non è ai domiciliari.Cade il buio al Cairo e l’incendio è ormai ben lontano dallo spegnersi. Mentre sto scrivendo suonano le sirene d’allarme dell’hotel che s’affaccia su piazza Tahrir. Gli spari si fanno sempre più vicini, sotto il centro commerciale è preso d’assalto e ormai brucia. Saccheggiati gli altri centri commerciali e alcune banche. Tutto attorno la polizia spara ormai a vista d’uomo. L’Egitto brucia e l’incendio rischia di propagarsi all’intero mondo arabo. La situazione è «molto fluida» commentano preoccupati dalla Casa Bianca che si dice pronta a rivedere la sua politica di aiuti militari ed economici al Cairo mentre significativamente Obama «non ha ancora deciso di telefonare» a Mubarak. Per tutto il pomeriggio si è atteso invano un discorso televisivo di Mubarak. Poi l’affondo della Casa Bianca: la situazione che si è venuta a creare «può essere risolta solo dal popolo egiziano». E il vecchio rais, ancora più solo, ha continuato a tacere.