sabato 6 gennaio 2024
I media riferiscono di uno scontro tra i vertici militari e il governo sulla gestione del conflitto. Parole di fuoco di Raisi, stessa propaganda da Nasrallah sull'uccisione del leader di Hamas
Una soldata israeliana in lacrime sul posto dove sono stati uccisi due membri della sua famiglia al Nova festival a Reim

Una soldata israeliana in lacrime sul posto dove sono stati uccisi due membri della sua famiglia al Nova festival a Reim - Reuters

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Alla vigilia dei tre mesi di guerra, in Israele i conti non tornano. Non è questione solo dei 129 ostaggi, di cui 25 sarebbero morti. Non è questione dei 300mila riservisti, che servirebbero a casa per far funzionare il Paese. Né dell’assistenza ai 3.400 soldati invalidi. Non è neanche questione della sicurezza interna, con la tensione cresciuta a Gerusalemme dopo l’ulteriore stretta agli accessi alla Spianata delle Moschee. Né dei 22.600 palestinesi morti, che non sembrano impressionare un’opinione pubblica paralizzata dal massacro di 1.139 israeliani il 7 ottobre. La resa dei conti è sulla strategia dello Stato ebraico. In uno scenario regionale che s’incendia ogni giorno di più, dal Libano all’Iran e all’Iraq.
Il vertice politico-militare sul dopo Hamas a Gaza, l’altra sera, si è trasformato in uno scontro urlato fra l’estrema destra del governo di Benjamin Netanyahu e il comando militare. Finché il premier, dopo tre ore, non ha sciolto la riunione.
Stando alla ricostruzione del Times of Israel, a infiammare i ministri del Likud (il partito di Netanyahu) e dell’estrema destra sarebbe stata la decisione del capo di Stato maggiore, generale Herzi Halevi, di istituire una commissione di ex ufficiali della Difesa per far luce sugli errori commessi dall’esercito dopo il 7 ottobre e di affidarla all’ex capo di stato maggiore e ministro della Difesa Shaul Mofaz, che era stato alla guida del partito centrista Kadima.
Il ministro dei Trasporti Miri Regev si è scagliato contro Halevi. A lui si sono uniti i ministri della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, delle Finanze Bezalel Smotrich e della Cooperazione regionale David Amsalem. Dalla parte di Halevi il ministro della Difesa, Yoav Gallant, e Benny Gantz, leader dell’opposizione che siede nel gabinetto di guerra. Netanyahu avrebbe ammonito il generale: «A volte i ministri vanno ascoltati».
Sul social X Smotrich ha invocato il diritto alla critica, mentre Halevi ha chiarito che «l’esercito non sta indagando né sulla politica nazionale né sulla strategia di Israele». Il leader dell’opposizione Yair Lapid ne ha concluso che «quanto trapelato è una vergogna e un’ulteriore prova della pericolosità di questo governo».
In un video Gantz ha ingiunto a Netanyahu di scegliere «l’unità e la sicurezza oppure la politica». Dopo la guerra, ha detto, dovrà essere istituita una commissione d’inchiesta per far luce «a tutti i livelli», compreso il governo, sui fallimenti che hanno portato al 7 ottobre.
Dopo che un’inchiesta del New York Times aveva rivelato che l’intelligence israeliana aveva in mano il piano di Hamas ma l’aveva liquidato come irrealizzabile, il programma Uvda di Channel 12 ha mostrato un documento top secret dell’autunno 2022 in cui è descritta con dovizia di dettagli la dinamica dell’attacco di Hamas. Ma l’esecutivo resta diviso anche sul futuro di Gaza, con Smotrich che critica il piano di Gallant di restituire la Striscia ai palestinesi e insiste sull’espulsione dei gazawi e la rioccupazione dell’enclave. Il ministro per la Tradizione Amichai Eliahu (del partito Potere ebraico) parla di «incoraggiare» i palestinesi a emigrare: «Dobbiamo spezzare il loro sogno nazionale. Ci avete massacrato? Allora non potete restare qua». Messaggi che gettano benzina sul fuoco degli estremismi.
«Se Israele sconfigge Gaza, il Libano del Sud sarà il prossimo. La battaglia di oggi non riguarda solo la Palestina» ha tuonato da una località segreta il leader di Hezbollah libanese, Hassan Nasrallah, alleato di Hamas e Iran, dopo il raid mirato che martedì scorso a Beirut ha ucciso al-Arouri, numero due di Hamas. «Noi combattenti di tutte le zone di confine risponderemo sul campo di battaglia, e questa risposta arriverà». Al di là delle parole di fuoco, la risposta, per ora, è stata il lancio di una trentina di missili sul nord di Israele e la risposta dell'esercito quasi immediata.
Per il momento è arrivato in Turchia, ieri sera, il segretario di Stato Antony Blinken, impegnato in un tour che lo porterà in diversi Paesi del Medio Oriente, e lunedì in Israele. Atteso il suo incontro con il presidente Recep Tayyip Erdogan, fortemente critico dello Stato ebraico. Dure anche le parole del leader di Hamas: il segretario di Stato americano, Antony Blinken, deve aver "imparato la lezione" e ora "dovrebbe concentrarsi sugli errori commessi sostenendo ciecamente Israele". Ad affermarlo è il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, secondo quanto riferito da Times of Israel. "Ci auguriamo che il signor Blinken abbia imparato la lezione degli ultimi tre mesi e si sia reso conto della portata degli errori che gli Stati Uniti hanno commesso sostenendo ciecamente l'occupazione sionista e credendo alle sue bugie, che hanno provocato massacri e crimini di guerra senza precedenti contro il nostro popolo a Gaza", ha detto Haniyeh nel giorno in cui il responsabile americano ha iniziato il suo ennesimo tour in Medio Oriente.
Mentre nella Striscia si continua a morire, l’esercito ha annunciato la conquista del “rione dei grattacieli”, il settore centrale dell’enclave dove gli alti edifici venivano usati per lanciare razzi. Gran parte degli ingressi erano bloccati da esplosivi. L’Ong Save the children denuncia che 14 persone, per la maggior parte bambini sotto i 10 anni, sarebbero state uccise dai raid vicino ad Al-Mawasi, un’area indicata agli sfollati come «zona sicura».

L'Iran minaccia: sceglieremo noi il luogo della vendetta

«Il nemico ha osservato e visto molte volte la grandezza del potere dell’Iran, e sentirà ancora una volta il potere della Repubblica islamica». Rispondendo alla folla radunata per i funerali delle 89 vittime nell’attentato di Kerman, rivendicato dall’Isis (Daesh), il presidente dell’Iran Ebrahim Raisi promette l’inferno. L’operazione “Diluvio di al-Aqsa”, il nome dato da Hamas agli attacchi contro Israele, «porterà la fine del regime sionista», avverte Raisi. «Le nostre forze decideranno il luogo e il momento in cui agiremo», minaccia.

L’incendio è ormai innescato. In Iran la folla chiede «vendetta». In Cisgiordania anche. Mentre l’Iraq a maggioranza sciita, nell’orbita di Teheran, si prepara a cacciare gli americani con modalità non troppo diverse da quelle con cui i taleban erano riusciti a ottenere la rocambolesca fuga della coalizione occidentale. La minaccia della “tempesta perfetta” arriva nell’anno in cui si rinnovano le cariche a Bruxelles e negli Usa si torna a votare per la presidenza. E contribuisce a spazzare via l’opposizione iraniana, con il pretesto delle politiche antiterrorismo. Il ministro degli Interni di Teheran ha dichiarato alla tv di Stato che 11 sospetti sono stati arrestati e che contro di loro vi sarebbero «indizi molto concreti». Giovedì era stata una fonte del Daesh a rivendicare gli attacchi di Kerman. Il giorno prima a Beirut erano stati uccisi da un attacco aereo sei funzionari di Hamas. Ma la rivendicazione non è ritenuta sufficiente per scagionare gli Usa. Al contrario, il presidente Raisi ha sostenuto che il Daesh è una creatura degli Stati Uniti e del «regime sionista», che hanno cercato di fondare «una nuova Israele» in Siria e Iraq sotto le sembianze di un Califfato, ma il loro piano è stato «sventato da Qassem Soleimani», il generale iraniano ucciso per ordine di Trump il 3 gennaio 2020.
Nella rivendicazione il sedicente rappresentante dello Stato islamico aveva detto che due combattenti si sono fatti saltare in aria con cinture esplosive in mezzo alla folla radunata nei pressi del cimitero di Kerman, mille chilometri a sud della capitale, per ricordare la morte di Suleimani, sepolto nella sua città natale. Proprio l’ufficiale iraniano, a capo dell’unità delle Guardie della Rivoluzione incaricate di controspionaggio e operazioni all’estero, colpito a Baghdad nel 2020. E ora proprio l’Iraq (con il 60% di popolazione sciita), si prepara a mettere alla porta gli Usa, confermando il temuto riavvicinamento con Teheran, il più popoloso e militarmente solido Paese sciita. Il primo ministro Mohammed Shia al-Sudani ha confermato che il governo iracheno è al lavoro per formare una commissione parlamentare congiunta che ponga fine alla missione americana. Una decisione presa dopo che gli Usa hanno ammesso di aver ucciso giovedì Abu Taqwa al Saidi, capo della milizia irachena Harakat al Nujaba. Abu Taqwa, ritenuto contiguo all’Iran, era accusato di diversi attacchi contro postazioni Usa in Iraq.
L’agguato statunitense è avvenuto durante le commemorazioni nell’anniversario dell’uccisione di Abu Mahdi al Muhandis, comandante di Kataib Hezbollah, un gruppo paramilitare sciita iracheno sostenuto dall’Iran. Venne ucciso insieme al generale Suleimani nell’attacco americano di quattro anni fa. Ed ora, si teme, è arrivato il momento per regolare i conti.
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