sabato 31 gennaio 2009
Dietro l’apparenza e la mondanità il sostegno all’economia locale, con 30mila persone impiegate. E gesti di vicinanza ai meno abbienti: dal materiale scolastico agli strumenti per gli artigiani, qualcuno però va persino a visitare i carcerati o finanzia l’ospedale
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Francesco Totti, Flavio Briato­re Elisabetta Gregoraci, Gio­vanni Minoli, Emilio Fede: a leggere i giornali di gossip Malindi sembra la succursale keniota dell’i­talica Sardegna. Le stesse meravi­gliose spiagge, lo stesso splendido mare, le stesse facce, gli stessi Vip. Scoperta dagli italiani negli anni ’80, la 'Malindi da bere' ed i suoi ospi­ti 'prima maniera' sono stati ben raccontati dal film di Marco Risi Nel continente nero, protagonista Die­go Abatantuono. Nel corso degli anni la città è diven­tata, insieme alla più selvaggia Wa­tamu, la residenza prediletta di tan­ti italiani benestanti e meta turistica tra le più ambite. Decine di splendi­di resort ospitano ogni anno migliaia di persone provenienti da ogni par­te del mondo, attirate da un natura rigogliosa, dal clima subtropicale secco, almeno nei mesi invernali, dalla gentilezza e dall’affabilità degli abitanti. Ma poco più di un anno fa questo flus­so si è interrotto bruscamente. Il 30 dicembre 2007 fa la contestatissima rielezione del presidente Mwai Kibaki e le accuse di brogli elettorali fecero precipitare il Kenya in una feroce guerra civile. Due mesi di violenza ter­minati il 28 febbraio scorso con la fir­ma di un accordo tra le due fazioni: un tempo sufficiente per fare crollare il gradimento turistico del Kenya. Tra le iniziative per rilanciare l’eco­nomia dei viaggi anche l’ulteriore potenziamento di www.malin­dikenya.net, agenzia stampa e por­tale italiano, che fa tra l’altro da por­tavoce di tutte le maggiori iniziative di solidarietà. Ed è il suo direttore Freddie Del Curatolo a sottolineare che l’italiano è la lingua più parlata, insieme all’inglese e dopo lo swahi­li, che sono oltre 3mila le case di ita­liani tra Malindi e Watamu (distanti circa 25 km), e più di 10mila gli ita­liani definiti 'villeggianti stagiona­li', quelli che tornano e qui trascor­rono più di un mese l’anno. Oltre 12.000 persone lavorano rego­larmente in queste case e vengono stipendiate per 12 mesi. «Ogni as­sunto – spiega Del Curatolo – può così dare da mangiare alla propria famiglia, composta mediamente di 5 persone; 60mila kenioti hanno mi­gliorato in maniera sostanziale la lo­ro condizione grazie agli italiani». Gli hotel e le attività turistiche, anch’es­se frequentate in maggioranza da i­taliani, danno lavoro ad altre 10.000 persone, cui si devono aggiungere altre migliaia di kenioti che gesti­scono attività connesse al turismo e alla comunità italiana (taxi, locali pubblici, negozi e bazar, agenzie di safari...). Ma non è tutto oro quel che luccica. Esiste – visibile agli occhi di tutti – il turismo sessuale: improbabili cop- pie formate da donne mature e gio­vanotti locali o da anziani avvinghiati a giovanissime ragazze non lascia­no spazio a dubbi. Un fenomeno gravissimo che appare limitato al tu­rista 'mordi e fuggi'. Ancor più ter­ribile la pedofilia o le più generali violenze sui minori. Conscia di ciò, la comunità italiana ha dato il via a 'Malindi Protegge i bambini', la pri­ma campagna contro gli abusi ses­suali in cui un’associazione turistica (Mwtwg) che unisce le più impor­tanti attività italiane in loco si af­fianca al sociale: i partner sono Cisp (Comitato internazionale per lo svi­luppo dei popoli) e Unicef. Gli italiani residenti muovono una fitta rete di artigiani – falegnami, sar­ti, muratori, giardinieri – e di presta­tori d’opera come gli ascari (ovvero i fidatissimi guardiani factotum che stanno a difesa delle abitazioni con i mezzi più estemporanei dai bastoni ad arco e frecce), gli autisti, i came­rieri, i lavapiatti. Per non parlare del­l’ambito dei servizi: e allora le guide e i driver per i safari, i conducenti di tuc tuc (l’Ape Piaggio modificata per trasporto passeggeri), i tassisti... Me­stieri spesso umili, ma comunque posti di lavoro garantiti in un conte­sto altrimenti molto povero. L’introduzione in forma massiccia dei cellulari è un’altra recentissima positiva novità, soprattutto come supporto allo sviluppo dell’econo­mia. Il telefonino costituisce uno strumento utilissimo il cui utilizzo viene favorito da tariffe molte basse. E a giovarsene sono artigiani e pic­coli produttori, oggi facilmente rag­giungibili da potenziali clienti, so­prattutto stranieri. Fabrizio, che da anni trascorre a Ma­lindi il periodo novembre/marzo, o­gni tanto va a trovare a casa il suo a­scari, ne conosce la moglie e i figli. «In ogni villaggio i bambini sono tan­ti, sempre allegri e pieni di gioiosa vitalità». Anche lui – come tanti ita­liani – contribuisce in maniera si­lenziosa e solidale: una volta i qua­derni, l’altra le penne, un’altra an­cora i libri. «È essen­ziale riuscire a far andare i bambini a scuola», dice. La scuola è obbligato­ria e la mattina piste e sentieri sono affol­lati da bambini con le divise in perfetto ordine. Ma questo sforzo non basta. A volte gli alunni non hanno i 200 scellini (due euro) ne­cessari per acquistare un libro, op­pure a scuola manca la mensa e i ra­gazzi rimangono digiuni sino a sera. Ed è qui che non si contano le tante piccole e grandi storie di affettuose solidarietà tra gli italiani e i malindi­ni (benché non manchino casi di ge­sti usati a fini di immagine...). Mamma Emma, come viene fami­liarmente chiamata, da tanti anni ha una casa a Watamu, con un grande giardino, in cui trascorre molti me­si. «Il nostro è un piccolo complesso – racconta – siamo nove proprietari e ciascuno di noi ha un cuoco, un giardiniere, un ascari e una o due persone che curano la casa. Quasi tutti rimangono nel condominio an­che nei mesi d’assenza dei proprie­tari e possono quindi contare su u­no stipendio fisso tutto l’anno». «Ci sono anche i sarti – prosegue Mam­ma Emma –, bravissimi. Basta por­tar loro un capo d’abbigliamento e lo rifanno identico. Al mio, dopo qualche anno, sono riuscita a porta­re dall’Italia una macchina per cuci­re nuova e da allora ha moltiplicato il giro d’affari». Certo, piccoli gesti, eppure segno di una vicinanza spon­tanea, silenziosa e non per questo meno efficace. Forse chi può permettersi una casa all’estero e alcuni mesi di buen reti­ro potrebbe fare di più. «Non man­cano le iniziative maggiormente im­pegnative, nate sempre da un senti­mento sincero di fratellanza», illu­stra subito Del Curatolo. «Il viareg­gino Fernando Vischi che vive a Ma­lindi da trent’anni porta personal­mente il cibo ai detenuti delle pri­gioni di Malindi che vivono in con­dizioni disagiate; Gianfranco Ranie­ri, presidente della Karibuni Onlus, ha tra l’altro recentemente costrui­to un reparto pediatrico a Marafa, nell’entroterra di Malindi, grazie al quale ogni anno almeno 130 neona­ti potranno essere salvati. Patrizia Freddi, presidente della Nativo On­lus, garantisce studio, cibo e cure mediche a 400 bambini di Watamu».
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