Francesco Totti, Flavio Briatore Elisabetta Gregoraci, Giovanni Minoli, Emilio Fede: a leggere i giornali di gossip Malindi sembra la succursale keniota dell’italica Sardegna. Le stesse meravigliose spiagge, lo stesso splendido mare, le stesse facce, gli stessi Vip. Scoperta dagli italiani negli anni ’80, la 'Malindi da bere' ed i suoi ospiti 'prima maniera' sono stati ben raccontati dal film di Marco Risi Nel continente nero, protagonista Diego Abatantuono. Nel corso degli anni la città è diventata, insieme alla più selvaggia Watamu, la residenza prediletta di tanti italiani benestanti e meta turistica tra le più ambite. Decine di splendidi resort ospitano ogni anno migliaia di persone provenienti da ogni parte del mondo, attirate da un natura rigogliosa, dal clima subtropicale secco, almeno nei mesi invernali, dalla gentilezza e dall’affabilità degli abitanti. Ma poco più di un anno fa questo flusso si è interrotto bruscamente. Il 30 dicembre 2007 fa la contestatissima rielezione del presidente Mwai Kibaki e le accuse di brogli elettorali fecero precipitare il Kenya in una feroce guerra civile. Due mesi di violenza terminati il 28 febbraio scorso con la firma di un accordo tra le due fazioni: un tempo sufficiente per fare crollare il gradimento turistico del Kenya. Tra le iniziative per rilanciare l’economia dei viaggi anche l’ulteriore potenziamento di
www.malindikenya.net, agenzia stampa e portale italiano, che fa tra l’altro da portavoce di tutte le maggiori iniziative di solidarietà. Ed è il suo direttore Freddie Del Curatolo a sottolineare che l’italiano è la lingua più parlata, insieme all’inglese e dopo lo swahili, che sono oltre 3mila le case di italiani tra Malindi e Watamu (distanti circa 25 km), e più di 10mila gli italiani definiti 'villeggianti stagionali', quelli che tornano e qui trascorrono più di un mese l’anno. Oltre 12.000 persone lavorano regolarmente in queste case e vengono stipendiate per 12 mesi. «Ogni assunto – spiega Del Curatolo – può così dare da mangiare alla propria famiglia, composta mediamente di 5 persone; 60mila kenioti hanno migliorato in maniera sostanziale la loro condizione grazie agli italiani». Gli hotel e le attività turistiche, anch’esse frequentate in maggioranza da italiani, danno lavoro ad altre 10.000 persone, cui si devono aggiungere altre migliaia di kenioti che gestiscono attività connesse al turismo e alla comunità italiana (taxi, locali pubblici, negozi e bazar, agenzie di safari...). Ma non è tutto oro quel che luccica. Esiste – visibile agli occhi di tutti – il turismo sessuale: improbabili cop- pie formate da donne mature e giovanotti locali o da anziani avvinghiati a giovanissime ragazze non lasciano spazio a dubbi. Un fenomeno gravissimo che appare limitato al turista 'mordi e fuggi'. Ancor più terribile la pedofilia o le più generali violenze sui minori. Conscia di ciò, la comunità italiana ha dato il via a 'Malindi Protegge i bambini', la prima campagna contro gli abusi sessuali in cui un’associazione turistica (Mwtwg) che unisce le più importanti attività italiane in loco si affianca al sociale: i partner sono Cisp (Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli) e Unicef. Gli italiani residenti muovono una fitta rete di artigiani – falegnami, sarti, muratori, giardinieri – e di prestatori d’opera come gli ascari (ovvero i fidatissimi guardiani factotum che stanno a difesa delle abitazioni con i mezzi più estemporanei dai bastoni ad arco e frecce), gli autisti, i camerieri, i lavapiatti. Per non parlare dell’ambito dei servizi: e allora le guide e i driver per i safari, i conducenti di tuc tuc (l’Ape Piaggio modificata per trasporto passeggeri), i tassisti... Mestieri spesso umili, ma comunque posti di lavoro garantiti in un contesto altrimenti molto povero. L’introduzione in forma massiccia dei cellulari è un’altra recentissima positiva novità, soprattutto come supporto allo sviluppo dell’economia. Il telefonino costituisce uno strumento utilissimo il cui utilizzo viene favorito da tariffe molte basse. E a giovarsene sono artigiani e piccoli produttori, oggi facilmente raggiungibili da potenziali clienti, soprattutto stranieri. Fabrizio, che da anni trascorre a Malindi il periodo novembre/marzo, ogni tanto va a trovare a casa il suo ascari, ne conosce la moglie e i figli. «In ogni villaggio i bambini sono tanti, sempre allegri e pieni di gioiosa vitalità». Anche lui – come tanti italiani – contribuisce in maniera silenziosa e solidale: una volta i quaderni, l’altra le penne, un’altra ancora i libri. «È essenziale riuscire a far andare i bambini a scuola», dice. La scuola è obbligatoria e la mattina piste e sentieri sono affollati da bambini con le divise in perfetto ordine. Ma questo sforzo non basta. A volte gli alunni non hanno i 200 scellini (due euro) necessari per acquistare un libro, oppure a scuola manca la mensa e i ragazzi rimangono digiuni sino a sera. Ed è qui che non si contano le tante piccole e grandi storie di affettuose solidarietà tra gli italiani e i malindini (benché non manchino casi di gesti usati a fini di immagine...). Mamma Emma, come viene familiarmente chiamata, da tanti anni ha una casa a Watamu, con un grande giardino, in cui trascorre molti mesi. «Il nostro è un piccolo complesso – racconta – siamo nove proprietari e ciascuno di noi ha un cuoco, un giardiniere, un ascari e una o due persone che curano la casa. Quasi tutti rimangono nel condominio anche nei mesi d’assenza dei proprietari e possono quindi contare su uno stipendio fisso tutto l’anno». «Ci sono anche i sarti – prosegue Mamma Emma –, bravissimi. Basta portar loro un capo d’abbigliamento e lo rifanno identico. Al mio, dopo qualche anno, sono riuscita a portare dall’Italia una macchina per cucire nuova e da allora ha moltiplicato il giro d’affari». Certo, piccoli gesti, eppure segno di una vicinanza spontanea, silenziosa e non per questo meno efficace. Forse chi può permettersi una casa all’estero e alcuni mesi di buen retiro potrebbe fare di più. «Non mancano le iniziative maggiormente impegnative, nate sempre da un sentimento sincero di fratellanza», illustra subito Del Curatolo. «Il viareggino Fernando Vischi che vive a Malindi da trent’anni porta personalmente il cibo ai detenuti delle prigioni di Malindi che vivono in condizioni disagiate; Gianfranco Ranieri, presidente della Karibuni Onlus, ha tra l’altro recentemente costruito un reparto pediatrico a Marafa, nell’entroterra di Malindi, grazie al quale ogni anno almeno 130 neonati potranno essere salvati. Patrizia Freddi, presidente della Nativo Onlus, garantisce studio, cibo e cure mediche a 400 bambini di Watamu».