Il primo ministro maltese Joseph Muscat - Ansa
Ordine d’arresto per Keith Schembri, l’ex capo di gabinetto del primo ministro di Malta, Joseph Muscat. Il giudice incaricato del caso dell’omicidio della giornalista Daphne Caruana Galizia, ha emesso l’ordine d’arresto dopo che è stato impossibile notificare a Schembri un mandato di comparizione come testimone nel caso.
La polizia è quindi intervenuta dopo che il giudice Lawrence Mintoff aveva spiccato un mandato di arresto. Schembri, arrivato più tardi in tribunale, si è scusato affermando di non aver ricevuto la notifica della convocazione. Di fronte al giudice ieri aveva già deposto Yorgen Fenech, l’imprenditore arrestato il mese scorso come mandante degli uomini che piazzarono l’ordigno dell’esplosione nella macchina della giornalista. Nei precedenti interrogatori l’imprenditore aveva fatto il nome di Schembri, collegandolo a casi di corruzione e all’omicidio della giornalista Caruana Galizia, uccisa all’età di 53 anni, nell’esplosione della sua Peugeot 108, nei pressi della sua residenza vicino a Mosta. La giornalista, circa due settimane prima, aveva presentato una denuncia alla polizia per minacce.
Nel 2016 Caruana Galizia era stata la prima a lanciare la notizia del coinvolgimento dei politici maltesi Konrad Mizzi e Keith Schembri nei Panama Papers, documenti relativi a 214mila società offshore, molte delle quali ubicate a Malta.
Frattanto, in base all’annuale rapporto di Reporter senza frontiere, si è appreso che sono 49 i giornalisti uccisi nel mondo nel 2019: è il dato più basso degli ultimi 16 anni. I cronisti morti in servizio sono caduti in prevalenza nei conflitti in Siria, Yemen e Afghanistan, fa notare l’organizzazione ricordando che «il giornalismo rimane una professione pericolosa».
Negli ultimi due decenni, la media dei reporter che perdevano la vita era infatti di 80 l’anno. Christophe Deloire, il responsabile di Reporter senza frontiere, ha però puntato il dito su un dato «allarmante»: quello dei giornalisti uccisi in Paesi ufficialmente in pace. «L’America Latina, con un totale di 14 morti, è diventata mortale quanto il Medio Oriente», ha spiegato Deloire constatando che nel solo Messico se ne sono contati solo 10. «Sempre più giornalisti vengono assassinati per il loro lavoro in Paesi democratici, cosa che rappresenta una vera sfida per la democrazia», ha aggiunto.
Questa duplice tendenza – delle linee del fronte meno mortali e dei Paesi «in pace» comunque pericolosi, ha una conseguenza: ci sono ormai proporzionalmente più morti nei Paesi in pace (59%) che nelle zone di conflitto con un aumento del 2% dei giornalisti assassinati o presi di mira in modo intenzionale. Mentre cala il numero dei giornalisti uccisi, sale quello dei reporter che finiscono dietro le sbarre: 389 sono stati arrestati e detenuti nel 2019, il 12% in più rispetto al 2018. Circa la metà di chi è finito in galera si concentra in tre Paesi: Egitto, Arabia Saudita e Cina, dove i giornalisti in galera sono un terzo del totale a livello globale. C’è poi un altro bilancio da aggiornare, che è quello dei reporter che sono fatti prigionieri: 57 in tutto il mondo, per lo più in Siria, Yemen, Iraq e Ucraina.
È dal 1995 che Reporter senza frontiere, ong indipendente con sede a Parigi e corrispondenti in 130 Paesi, redige il suo rapporto annuale in base a una minuziosa raccolta di dati in modo da monitorare le morti e le violenze che i reporter ricevono nello svolgere il loro lavoro.