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Esplode la protesta nella capitale libanese nella Giornata della rabbia. Il bilancio è di un morto, un soldato dell’esercito, e decine di feriti. La Croce Rossa ha trasportato 54 persone nei pochi ospedali ancora agibili di Beirut, già colmi di feriti della strage di martedì scorso. La tensione si respirava sin dalle prime ore del mattino. «Lo vede quel cestino dei rifiuti? Ecco, i nostri politici valgono meno di esso», ha detto uno dei manifestanti a un reporter occidentale che copriva il raduno organizzato nella centralissima Piazza dei martiri. «Solo il popolo libanese commemorerà le vittime, non vogliamo autorità», avevano spiegato gli organizzatori.
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Lo slogan dei manifestanti: «Preparate le forche», per significare il desiderio di vedere i responsabili dell’immensa catastrofe rendere conto della loro incompetenza e corruzione davanti alla giustizia e, in caso di condanna, essere puniti severamente. Molti erano giunti nel centro con in mano un cappio e più di uno l’ha stretto al collo di un’effigie di Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah. L’esercito – cui è stata affidata la sicurezza della capitale per due settimane in base allo stato di emergenza – ha chiesto alla folla di manifestare «pacificamente». «Il comando dell’esercito – si legge nel comunicato – comprende la profondità del dolore che invade il cuore dei libanesi e comprende la difficoltà della situazione che sta attraversando la nostra patria. Ma ricorda ai manifestanti la necessità di attenersi ad esprimere pacificamente ed evitare di bloccare le strade e di assaltare le proprietà pubbliche e private». Una richiesta andata subito in fumo.
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La polizia, che si era mobilitato in gran numero nel centro della città, ha sparato gas lacrimogeni e pallottole di gomma contro i dimostranti diretti al Parlamento e alla sede del governo, che si trovano nel perimetro del centro. «Nell’esplosione di martedì ho perso tutto», ha detto un architetto. «Tutto: casa, ufficio e una società in cui lavorano trenta persone. Non ho più un posto in cui dormire, e stasera intendo dormire nel Parlamento», ha dichiarato come per giustificarsi. Bloccato il primo attacco, lo sviluppo più significativo è avvenuto in altri quartieri, con l’assalto contro i ministeri dell’economia, energia, ambiente (chiusi di sabato), nonché la sede del cartello delle banche, alla quale hanno appiccato il fuoco. Nel quartiere a maggioranza cristiana di Achrafieh, un gruppo nutrito di manifestanti – costituito principalmente da veterani dell’esercito – ha occupato il palazzo storico Bustros, sede del ministero degli Esteri, proclamandolo subito come quartier generale dei rivoltosi. Sulla facciata dell’edificio, che aveva riportato danni nella deflagrazione di martedì, sono stati stesi grandi striscioni rossi raffiguranti il pugno chiuso con le scritte «Beirut capitale della rivoluzione» e «Beirut città disarmata».
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I manifestanti, guidati dal colonnello in pensione George Nader, hanno rimosso la foto del presidente della Repubblica, Michel Aoun, e le hanno dato fuoco: «Vai via!», hanno quindi gridato riferendosi al capo dello Stato. In serata il premier Hassane Diab ha invitato i partiti politici a risolvere la crisi del Paese, altrimenti ci saranno elezioni anticipate. «Ora è il momento della responsabilità collettiva», ha detto in un discorso tv. «Vogliamo una soluzione per tutti i libanesi. Chiederò lunedì elezioni anticipate e resterò al governo per due mesi in attesa dell’accordo politico», ha aggiunto. Intanto, nella mattinata, si sono dimessi tre deputati del partito Kataeb. Uno di loro, che è anche il presidente del partito Samy Gemayel, ha parlato al funerale di un alto funzionario del partito ucciso dall’esplosione al porto. «Non vogliamo rappresentare la foglio di fico per questo regime», ha detto Gemayel tra gli applausi. Il partito fa parte dell’opposizione ed è noto per le sue aspre critiche al governo, sostenuto da Hezbollah e dai suoi alleati. Il Parlamento libanese ha 128 membri e alcuni deputati hanno annunciato che si dimetteranno per protesta contro la corruzione diffusa. Marwan Hamadeh, un deputato del gruppo di Walid Jumblat, si era già dimesso in settimana.
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