venerdì 18 ottobre 2024
Il clima nel Paese, che aspira a diventare una super-potenza, diventa sempre più intollerante. Il ruolo del Bharatiya Janata Party del premier Modi
Il dolore di una donna musulmana che ha perso il marito nelle "rivolte" del 2020 in India

Il dolore di una donna musulmana che ha perso il marito nelle "rivolte" del 2020 in India - REUTERS

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Osteggiate, perseguitate. Costrette a nascondersi o ad auto-segregarsi. In periferia come nel “cuore” del gigante asiatico. La vita delle minoranze religiose nell’India, guidata ormai da dieci anni da Narendra Modi, diventa ogni giorno più difficile. Una delle tante contraddizioni del gigante asiatico che - mentre aspira al ruolo di super-potenza - assume contorni (e chiusure) sempre più integraliste. Sono tante le storie e le voci "dal di dentro" che provano a bucare il silenzio che avvolge la condizione di cristiani e musulmani dell’India a maggioranza indù.

Jaldhar Kashyap vive nella regione boscosa di Bastar nello Stato di Chhattisgarh, oltre 1.450 chilometri a sud di Delhi. Jaldhar - “un trentaduenne magro e timido” come lo descrive il sito Rest of World che ha raccolto la sua testimonianza - è cristiano. In questo lembo di terra, i cristiani sono decisamente una minoranza: rappresentano solo il 2% della popolazione del Chhattisgarh. Fino a pochi anni fa, racconta l’uomo, vivevano in una condizione di relativa serenità. Ma da anni le cose sono cambiate. In peggio. Da sempre qui diventare cristiani “comporta dei rischi per la presenza dei gruppi di vigilanti indù che considerano la conversione un affronto alla religione maggioritaria dell'India”. Se prima il territorio impervio di Bastar e la scarsa penetrazione di Internet garantivano una “pellicola” di tranquillità, con le notizie sulle conversioni che non circolavano, oggi i gruppi nazionalisti si muovono più facilmente. Comunicano facilmente con WhatsApp. Si organizzano. Si muovono rapidamente. L’ascesa al potere del primo ministro Narendra Modi, entrato in carica lo stesso anno in cui la famiglia Kashyap si convertiva al cristianesimo – scrive Rest of World - “ha contribuito a trasformare la nazione, incoraggiando l'estrema destra”. Il cambiamento è palpabile. Quando la madre di Jaldhar è morta, una folla inferocita ha circondato la sua casa per impedirne i funerali. Non è purtroppo un episodio isolato.

Contro i cristiani, il Vishva Hindu Parishad (VHP), un'organizzazione politica e religiosa di estrema destra, che si ispira al nazionalismo indù, ha messo in piedi una vera e propria organizzazione militare. A Bastar, conta migliaia di membri divisi in gruppi che coprono circa 50 villaggi, a loro volta suddivisi in sottogruppi più piccoli. Ogni gruppo e sottogruppo viene gestito da un capo, che filtra le informazioni lungo la catena di comando e esegue le direttive che la attraversano. “In questo modo, il VHP può monitorare i cittadini ed eseguire rapidamente iniziative in una regione di 38.000 chilometri quadrati”. Il loro obiettivo? Cacciare dai villaggi chi professa una religione diversa.

Un quartiere a New Delhi abitato prevalentemente da musulmani

Un quartiere a New Delhi abitato prevalentemente da musulmani - REUTERS

Non va meglio ai musulmani. Persino nella capitale indiana. La Reuters ha raccolto le storie e le voci di quanti hanno deciso di abbandonare New Delhi. Chi è rimasto sceglie di vivere in vere e proprie enclave lontane dalla maggioranza indù. La ferita della rivolta del 2020 – 53 morti, 200 feriti - è ancora aperta. I discorsi d'odio contro i musulmani – che rappresentano il 14% degli 1,4 miliardi abitanti indiani - circolano liberamente e anzi oggi hanno una alta “redditività” politica. “La segregazione a livello nazionale è aumentata in modo significativo nell'ultimo decennio", ha detto alla Reuters l'antropologo politico della London School of Economics Raphael Susewind. L'aumento dell'islamofobia sotto il Bharatiya Janata Party di Modi è un "motore chiave" del fenomeno. Nel febbraio 2020, Nasreen e suo marito Tofik vivevano a Shiv Vihar, un quartiere nel nord-est della capitale. Quando sono scoppiate le rivolte Tofik è stato aggredito da una folla inferocita. È sopravvissuto, ma zoppica vistosamente. Subito dopo le rivolte la coppia si è trasferita a Loni, un'area più remota del Paese dove la concentrazione di musulmani è più alta. "Tornare? Non lo farà mai. Mi sento più sicuro tra i musulmani", è la risposta di Tofik.

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