Studenti palestinesi davanti all'ìngresso della Bethlehem university
«La pace è il frutto della giustizia. Ma adesso, è evidente, non è il momento della pace tra Israele e Autorità nazionale palestinese», constata amaramente nel suo ufficio alla Bethlehem university il vice-rettore, padre Iyad Twal. Le feste di Natale stanno per finire ma lunedì dei 3.200 studenti se ne vedranno pochissimi in presenza nell’università fondata dai Fratelli delle scuole cristiane, sostenuta dalla La Salle Foundation (Focsiv). È questo uno dei progetti sostenuto dalla maratona radio televisiva “Osa la pace. Sostieni la speranza” che si conclude domani, 6 gennaio, su Tv2000 e Radio in blu.
L’università cattolica di Betlemme, il primo istituto di istruzione superiore aperto in Cisgiordania nel 1973, proseguirà a fare le lezioni online. «Troppo difficile e pericoloso spostarsi con tutti i check point. Io sono venuta perché, studiando alla facoltà di Scienze, a volte non posso fare a meno dei laboratori. E fortunatamente abito vicino», spiega Nadia. Il nome è di fantasia perché i 15 studenti arrestati dalla polizia israeliana impongono la prudenza. La foto di Khaled Muhtaseh appesa in una bacheca, dopo che è rimasto ucciso a Gerusalemme Est in circostanze poco chiare, dimostrano come la guerra sia entrata prepotentemente anche nella vita di questi giovani palestinesi. «Combattiamo per tenere viva la nostra speranza. Ma crediamo in un futuro di giustizia: la pace non verrà da sola», confida questa ragazza di 21 anni dallo sguardo mite. Le università, specialmente quelle islamiche e quelle sostenute dall’Unrwa (l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi), sono state a partire dalla prima Intifada uno dei terreni più fertili per la diffusione dell’estremismo di Hamas. Per questo dare una educazione ai giovani palestinesi è un compito, in questo momento, ancora più delicato: aprire prospettive per il futuro e formare una coscienza civica e politica lontana da radicalismo e violenza.
Il vice rettore della Bethlehem university padre Iyad Twal - Marco Palombi
«Prima del 7 ottobre - prosegue il vicerettore padre Iyad Twal - si viveva cullati dal sogno dei “Due popoli e due Stati”, mentre ci siamo dimenticati della realtà riguardo alla questione israelo-palestinese. La realtà è che abbiamo nutrito fondamentalismo da entrambe le parti». Un processo di pace che avrebbe dovuto iniziare con gli Accordi di Oslo firmati nel 1993, ma che si è arenato da oltre un decennio nella quasi totale indifferenza internazionale. «Siamo come persi, non c’è più un sogno e mancano leader capaci di indicare obiettivi futuri…» È l’ammissione del fallimento di una generazione. E per questo la missione educativa di una università da sostenere con le borse di studio a cui accedono più del 90% degli studenti, è strategica: «Non c’è una visione politica unitaria fra noi palestinesi, mentre c’è una chiara visione del diritto di vivere in pace». Come arrivare a questo sogno, si chiede padre Twal? «Tramite l’educazione: avere l’onesta di studiare, comprendere bene e con oggettività la nostra situazione sociale e politica. Vedo in questi giovani la possibilità di realizzare in futuro l’obiettivo della pace che non abbiamo oggi, per non dire apertamente che la mia generazione ha fallito».
Un sogno di pace, da lasciare in eredità alle prossime generazioni. Per contribuire alla campagna “Osa la pace. Sostieni la speranza” per cui è possibile contribuire sino ad oggi inviando un Sms o chiamando da telefono fisso il numero 45582. Inoltre si può pure donare anche con: c/c postale n°47405006 intestato a Focsiv (Causale: Focsiv-Caritas Italiana); Bonifico bancario (Iban di Banca Etica: IT87T0501803200000016949398 intestato a Focsiv Causale: Focsiv-Caritas Italiana); Online: insiemepergliultimi.it/dona-ora