Gani Mirzo tra i suoi ragazzi nel Rojava siriano - .
«C’è la storia di una bambina che non dimenticherò mai. A 10 anni è finita in un campo profughi. Aveva problemi psicologici gravi ma quando varcava la soglia della scuola diventava allegra, si trasformava. Gli abbiamo insegnato a suonare il violino. Le voglio molto bene anche per quel che ha saputo fare in lei la musica».
Gani Mirzo da 8 anni scioglie con la cultura due nodi gravi presenti nel suo Paese, il Rojava in Siria, e nel Kurdistan iracheno: la mancanza di cure psicologiche e le profonde fratture sociali. Originario di Qamishlo, Mirzo è uno dei musicisti curdi contemporanei più noti in Europa.
Le sue composizioni sono una fusione di flamenco, musica mediorientale, musica curda e jazz, crocicchi che uniscono sponde, culture e uomini. Da piccolo si costruiva gli strumenti con i barattoli di latta rubati in cucina, si forma ad Aleppo e nel 1993 arriva a Barcellona per studiare il flamenco al prestigioso Conservatorio Liceu. Migrato perché la musica curda era proibita e il suo popolo represso dal regime del Assad, oggi con la Mirzo Music Foundation punta alla ricostruzione “morale”, all’inclusione e al futuro di centinaia di ragazzi colpiti dalla guerra civile e dalla devastazione del Daesh, per «creare una nuova generazione che non abbia odio nella mente e nel cuore, una generazione pacifica, bella e umana, preziosa» spiega.
La molla è stato il dolore provato nel 2013 davanti ai 100mila curdi siriani nel campo di Domiz, in Iraq. Erano finiti lì vecchi amici, familiari, pezzi di infanzia. Nel 2014 incide un disco, “Camp Domiz”, il cui ricavato va agli sfollati, un successo eguagliato da quello dei concerti solidali. Come quello a Barcellona nel 2017, con artisti catalani e musicisti dal mondo, o quelli in Rojava, trasmessi col maxischermo in Spagna.
Nel 2018 in collaborazione con Musicians Without Borders raccoglie nei Paesi Baschi 380 strumenti e attrezzature: «In mezzo alla distruzione siamo riusciti a far arrivare la bellezza, l’arte, la musica, le cose più belle di questo pianeta, un segnale forte contro la guerra rivolto al mondo», racconta. Gli strumenti sono stati distribuiti da Qamishlo a Kobane ad artisti che li hanno perduti sotto le macerie o distrutti dai jihadisti, come è accaduto ad Haroud K MadarJ-Ian, violinista cristiano.
Oggi la sua nuova scuola di musica si chiama “Armonia” e la frequentano studenti curdi, assiri, musulmani, cristiani. «Sono morti anche tanti musicisti in questa guerra ingiusta, molti vivono nei campi o sono esiliati, altri sono morti nel Mediterraneo per arrivare in Europa e ho sentito la responsabilità di difenderli tutti», spiega Mirzo. Yazidi compresi, il cui genocidio per Mirzo «non è solo contro delle persone, ma contro la cultura, contro l’umanità».
Proprio alla minoranza curdofona è destinata la prima scuola di musica gratuita del Medio Oriente: è sulla montagna di Sinjar, a Khanasor, 120 studenti, operativa dal 2019. Un’altra scuola sarà aperta anche a Sinuni: corsi di pittura, canto, musica e tutti gli strumenti tradizionali per allievi da 5 fino a 40 anni. Mirzo, che in questi giorni è ad Erbil, aprirà al campo di Khanke un centro per sole ragazze yazide, in particolare quelle schiavizzate dal Daesh, perché è proprio tra le tende la situazione più grave.
«Non hanno nessun desiderio nella vita. Non hanno nessun tipo di speranza, ne il governo iracheno ne altri tentano di aiutarli per recuperare le case o costruirle e avere il minimo che si può avere: un buono stato di salute e un lavoro».
Curare con la musica è un’idea potente e proprio tra i più fragili di fronte alla guerra sta facendo nascere nuovi artisti, nonostante le richieste di sostegno a Onu, Unesco, Unicef siano cadute nel vuoto. Ora l’appello più importante Mirzo lo fa ai musicisti nel mondo, compresi quelli italiani: non solo concerti e festival «con la musica potete salvare i rifugiati anche solo con uno strumento, potete cambiare la vita di un bambino, potete dare un sogno a qualsiasi persona spezzata dalla guerra».