Dopo i sorrisi all’estero, i toni forti in casa, a scopo politico. All’indomani dell’entrata in vigore dell’accordo – con cui si è avviata la graduale fine delle sanzioni contro l’Iran per il suo programma nucleare – sia Washington che Teheran hanno ribadito che l’apertura di inediti canali diplomatici fra i due Paesi non equivale a un credito di fiducia. Lo scontro retorico è scoppiato attorno alle nuove sanzioni americane scattate (proprio nel giorno dell’implementazione dell’accordo di Vienna sul nucleare) per punire i test di missili balistici effettuati ad ottobre da Teheran. Le misure, che l’Amministrazione Usa aveva rimandato per non rischiare di compromettere un delicato scambio di prigionieri concretizzatosi nel fine settimana, sono in realtà limitate. Il dipartimento del Tesoro Usa ha semplicemente aggiunto alla lista di persone alle quali ha congelato i beni cinque cittadini iraniani e una rete di società basate negli Emirati Arabi Uniti e Cina. Ma l’Iran non le ha potute ignorare. Il portavoce del ministero degli Esteri, Hossein Jaber Ansar, ha parlato di atti di propaganda e di sanzioni «illegittime » perché il programma di missili balistici non è progettato per trasportare testate nucleari. Il ministro della Difesa, Hossei Dehghanm, ha inoltre aggiunto che le sanzioni non rallenteranno lo sviluppo del programma missilistico. «Di fronte all’inevitabilità di dover cedere alla determinazione dell’Iran e di far cadere tutte le sanzioni sul nucleare – recita una nota del ministero alla Difesa iraniano – gli Usa hanno imposto altre sanzioni ad entità e individui coinvolti nel programma missilistico iraniano. Ma si tratta di un atto fondato su un pretesto da parte degli Usa, che ogni anno vendono armi per decine di milioni di dollari a Paesi della regione. Armamenti impiegati contro civili palestinesi, libanesi e anche, più di recente, yemeniti». Domenica, Barack Obama aveva ribadito agli americani che l’intesa con la Repubblica islamica «non era mai inteso come una soluzione a tutte le nostre differenze». In questo mutato clima è arrivato a Teheran il capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), Yukiya Amano. L’organiz- zazione Onu sabato ha confermato che Teheran si è attenuta agli obblighi concordati con il gruppo dei Paesi 5+1, aprendo la strada alla revoca della maggior parte delle sanzioni da parte delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea. Le sanzioni rimaste contro Teheran (inerenti al trasferimento di tecnologia per il nucleare civile e al commercio di armi) verranno abrogate entro i cinque e gli otto anni, subordinatamente a un nuovo via libera dell’Aiea chiamata a certificare l’uso pacifico delle attività nucleari iraniane. Ma ieri Behrouz Kamalvandi, portavoce dell’Organizzazione per l’Energia atomica iraniana, ha ripetuto che l’Iran vuole «ridurre questo lasso di tempo» e ha per questo richiesto la visita di Amano. Non è prevista però alcuna ispezione di quest’ultimo a siti nucleari iraniani. L’Iran ha fretta di uscire dall’isolamento finanziario e commerciale che l’ha portato alla paralisi economica. La Repubblica islamica ha già ordinato un incremento della sua produzione di 500mila barili al giorno, quantità che si pone in rotta di collisione con la politica Opec di ridurre l’offerta per riequilibrare in prezzi del greggio, da mesi in caduta libera. Che l’Iran voglia capitalizzare rapidamente il vantaggio che si apre con la rimozione delle sanzioni lo dimostra anche il viaggio del presidente Rohani della prossima settimana in Italia e in Francia. A Roma, il capo di governo iraniano salirà al Quirinale e andrà in Vaticano, poi incontrerà il premier, Matteo Renzi e troverà il tempo per un forum con 500 imprenditori. Anche l’Alto rappresentante, Federica Mogherini, e altri commissari Ue sono stati invitati in primavera in Iran per esplorare possibili aree di cooperazione dopo l’accordo sul nucleare.