Il premier ungherese Viktor Orbán - Ansa / Epa
Dalla Corte di giustizia Ue arriva un nuovo duro colpo al premier ungherese Viktor Orbán: la legge «anti-Soros», quella cioè che discriminava le Ong finanziate dall’estero (anche dentro l’Ue) viola i trattati Ue. Una sentenza senza mezzi termini giunta ieri da Lussemburgo, che boccia per ben quattro fattispecie la controversa legge del 2017 che imponeva un obbligo di registrazione e pubblicazione dei propri dati e donatori alle Ong che godano di finanziamenti esteri, pena multe salate o anche lo scioglimento della Ong stessa.
Una legge a detta dei critici fatta apposta per creare difficoltà alla Central Europe University fondata e operata da anni a Budapest dal finanziere ungaro-americano George Soros, e della sua Open Society Foundation.
Soros, che pure aveva finanziato il giovane Orbán permettendogli di studiare in Inghilterra, ha recentemente attirato le sue ire per le sue critiche allo stile sempre più autoritario e xenofobo.
La legge ha in effetti poi spinto Soros a trasferire a Vienna la sua università.
La Commissione Europea già nel 2017 aveva aperto una procedura di infrazione nei confronti dell’Ungheria, e l’ha poi deferita alla Corte Ue nel 2019, ottenendo ora ragione. Soddisfazione ovviamente della Open Society Foundation, adesso, si legge in un comunicato, «l’abrogazione della legge segnerebbe un gradito passo verso il ripristino sia dello Stato di diritto, sia del pluralismo nella vita pubblica in Ungheria».
«Si tratta – è il commento di un portavoce della Commissione Europea – di una sentenza importante che protegge la libertà di associazione delle organizzazioni della società civile in Ue e riafferma le regole del mercato interno».
Adesso «sta alle autorità nazionali conformarsi alla decisione» della Corte. «La decisione storica di oggi (ieri ndr) – ha detto anche David Vid, direttore di Amnesty International Ungheria – ha inflitto un duro colpo agli sforzi delle autorità ungheresi che stigmatizzano e minano le organizzazioni della società civile che criticano la politica del governo».
Budapest ha reagito irritata: la Corte, si legge in una dichiarazione del ministro della Giustizia Judit Varga, «non ha fornito alcun elemento o dato spefico o prove» a sostegno della sentenza. Anche se il capo di gabinetto di Orbán, Gergely Gulas, ha in parte rassicurato. «Abbiamo sempre rispettato le decisioni della Corte Ue – ha dichiarato – e continueremo a farlo nel futuro».
I giudici Ue parlano di «restrizioni discriminatorie e ingiustificate» nei confronti di queste Ong e delle persone che le sostengono. Restrizioni che costituiscono la violazione di ben quattro obblighi degli Stati membri sanciti dai Trattati: la libera circolazione dei capitali, il rispetto della vita privata e familiare, il diritto alla protezione dei dati di carattere personale e il diritto alla libertà di associazione. Il tutto anche con il rischio che le misure previste dalla legge «possano creare un clima di diffidenza nei confronti di tali associazioni e fondazioni».
Bocciato anche il riferimento del governo ungherese a necessità di sicurezza e ordine pubblico: «L’Ungheria non ha avanzato alcun argomento atto a dimostrare, in modo concreto, una simile minaccia». Violato anche il diritto alla libertà di associazione, in quanto le misure «rendono significativamente più difficili l’azione e il funzionamento delle associazioni rientranti nella medesima legge». E la violazione della protezione dei dati personali e il diritto alla vita privata è nell’obbligo di diffondere anche a terzi i dati personali dei donatori.
Più in generale, la Corte rileva che queste misure drastiche «non potevano essere giustificate da nessuna delle finalità di interesse generale invocate dall’Ungheria». A questo punto l’Ungheria può fare solo una cosa: abrogare o riscrivere la legge, altrimenti rischia una multa salata.