Il capo di Hamas Sinwar - Ansa
Salah al-Din al-Awawdeh che l’aveva conosciuto in prigione negli anni Novanta e ne era diventato amico, definiva Yanya Sinwar un leader capace di progettare gli eventi. E, in effetti, il 62enne capo di Hamas, ha architettato l’accadimento più drammatico nella storia di Israele: il massacro del 7 ottobre. Eppure la morte l’ha colto alla sprovvista prima dell’alba di ieri, in un edificio di Rafah, nel sud di Gaza. La palazzina è entrata nei radar di un gruppo di soldati di fanteria che hanno visto entrare presunti miliziani. Hanno, così, fatto fuoco dai tank, uccidendoli. Quando, però, si sono avvicinati ai tre corpi, hanno notato l’evidente somiglianza di uno di loro con “l’obiettivo numero uno” di Tel Aviv. Immediatamente, sono scattate le verifiche. La prima conferma è arrivata dalla polizia scientifica che ha esaminato l’arco dei denti. La prova definitiva è stata, tuttavia, quella del Dna, grazie ai campioni prelevati al capo di Hamas durante gli oltre due decenni di reclusione in Israele, in gran parte nel carcere di massima sicurezza di Ashkelon. Dopo ore di indiscrezioni, è arrivata la dichiarazione congiunta di esercito e Shin Bet, l’intelligence per gli affari interni: la morte di Sinwar è certa. Dubbi, invece, sussistono sulla sua insolita dinamica. Perché il super-ricercato si trovava in superficie e non nel tunnel adiacente, la cui imboccatura è stata scoperta tra la struttura e il valico? E perché era accompagnato da una scorta “leggera” – solo due uomini – e circolava senza “scudo umano”, ovvero gli ostaggi di cui, fonti ben informate, ritenevano fosse circondato e di cui, invece, non è stata trovata traccia? Alcuni hanno ventilato l’ipotesi di una fuga, data la vicinanza del confine egiziano e il fatto che avesse indosso vari passaporti.
Tra questi, il ministro della Difesa, Yoav Gallant: «È caduto mentre scappava, non da comandante». Quasi una risposta ai primi commenti di funzionari di Hamas che elogiavano la scelta del leader di rimanere nella Striscia. Altri parlano di un incontro che l’avrebbe spinto a uscire dal nascondiglio costruito sottoterra. Per un anno e dieci giorni, le forze armate israeliane (Tzahal, dall’acronimo) – con l’aiuto degli Stati Uniti - hanno battuto a tappeto la Striscia, scavando metro dopo metro, alla ricerca dell’ex stratega militare diventato leader politico del gruppo armato dopo l’uccisione a Teheran di Ismail Haniyeh lo scorso luglio. A gennaio credevano di averlo localizzato in un complesso sistema di bunker a Khan Yunis: quando, però, c’è stata l’irruzione, il miliziano era andato via da qualche giorno, lasciando, dietro di sé, documenti e l’equivalente di circa 250mila dollari. Di nuovo, ad agosto, era stata rilevata la sua presenza nei pressi del condotto in cui era stato trovati i corpi di sei ostaggi, uccisi poco prima, con un colpo di pistola alla testa dai carcerieri pur di non farli liberare dall’esercito israeliano arrivato nei paraggi. Era riapparso, con una lettera pubblica ad Hassan Nasrallah, il 13 settembre, interrompendo undici mesi di silenzio per ringraziare Hezbollah per il sostegno. Nelle settimane successive aveva inviato altri due messaggi: uno per piangere l’uccisione del predecessore e l’altro di cordoglio per lo stesso Nasrallah. In realtà, secondo quanto rivelano fonti Usa, Sinwar non è mai “scomparso” del tutto nel corso dell’ultimo anno: dai vari bunker ha sempre mantenuto la comunicazione con i propri sottoposti e con i negoziatori incaricati di fare la spola tra Doha e Il Cairo per discutere un accordo di cessate il fuoco. Ogni decisione – dicono persone vicine ai colloqui – arrivava nelle condutture sotterranee della Striscia per essere approvata dal capo.
La sua morte, inevitabilmente, apre una nuova fase del conflitto. Nessuno, però, sa quale. «Chi fa previsioni è un illuso. Di certo, tuttavia, la scomparsa di Sinwar rappresenta l’occasione d’oro per mettere fine alla guerra», sostiene Gershon Baskin, studioso, prestigioso attivista per il dialogo e soprattutto tra i migliori conoscitori di Hamas, con cui ha trattato per oltre cinque anni per la liberazione del soldato Gilad Shalit. «La domanda è: Israele saprà coglierla? Ha ottenuto la sua “foto della vittoria”: quella del corpo del capo di Hamas. Può, dunque, decidere di mettere fine all’operazione a Gaza – prosegue -. L’esercito sicuramente premerà perché accada. Il punto è che Benjamin Netanyahu vuole prolungare il conflitto». La prima dichiarazione del premier dopo l’uccisione del capo di Hamas sembra confermare le parole di Baskin. «Il male ha subito un grave colpo, ma la nostra missione non è ancora finita», ha detto in un messaggio in tv. Poi ha toccato il nodo cruciale dei 101 rapiti ancora nella Striscia, di cui 63 ritenuti in vita e la cui sorte è oltremodo incerta. Rispondendo alla preoccupazione del Forum dei familiari e alla loro richiesta di un’intesa immediata per il rilascio, Netanyahu si è rivolto ai sequestratori: «Faccio appello a tutti coloro che tengono i nostri ostaggi: a chiunque deporrà le armi e libererà i nostri ostaggi, permetteremo di andarsene e continuare a vivere». «È una mossa prevedibile che potrebbe sortire dei risultati in questo momento di grande caos – sostiene Baskin –. Hamas vive un momento di grande sbandamento. Senza Sinwar, non c’è nessuno in grado di tenerne insieme le varie componenti, a Gaza e a Doha. È possibile che il comando venga preso dal fratello Mohammed ma quest’ultimo non ha la sua forza. È, dunque, il momento ideale per un accordo. Hamas, indebolita, potrebbe essere disposta a lasciare il governo della Striscia, conservando il proprio “successo”: avere riportato la Palestina nell’agenda internazionale». È quanto vuole Washington. Il presidente Joe Biden ha parlato di «un bel giorno per Israele, Usa e il mondo», «c’è la possibilità concreta di un dopo-guerra a Gaza senza Hamas», ha ribadito Biden, che in serata ha telefonato al premier israeliano Netanyahu. I due leader hanno parlato di «come usare questo momento per portare gli ostaggi a casa e mettere fine alla guerra», riferisce la Casa Bianca. La sua Amministrazione può ora rilanciare un negoziato ormai agonizzante. Un’opportunità ghiotta a meno di tre settimane dalle elezioni.