L'ingresso di un locale caldaia di una scuola adibito a prigione per famiglie e obitorio
«Crimini di guerra che includono uccisioni volontarie, attacchi a civili, reclusione illegale, torture, stupri, trasferimenti forzati e deportazione di bambini». Per quella che viene definita «ipotesi di genocidio». In 18 pagine, corredate da centinaia di allegati fotografici, filmati, esami balistici e di medici legali, viene riassunto il primo anno di inchiesta della Commissione internazionale indipendente sull’Ucraina.
Il gruppo di esperti nominato dall’Onu si è recato per otto volte nel Paese, svolgendo sopralluoghi in 56 centri urbani, dalle grandi città ai piccoli villaggi isolati. La Commissione ha intervistato 595 persone (348 donne e 247 uomini). Sono stati ispezionati i luoghi bombardati, i cimiteri, le fosse comuni, luoghi di detenzione e tortura, residui di armi, documenti, migliaia di ore di filmati e una montagna di foto satellitari. I presunti crimini, tra cui la deportazione di bambini, sono stati descritti in dettaglio. «Il corpus di prove raccolte mostra che le autorità russe - si legge - hanno commesso un’ampia gamma di violazioni del diritto internazionale e del diritto internazionale umanitario». Attacchi compiuti nel «disinteresse per i danni e le sofferenze dei civili». Raid definiti «indiscriminati e sproporzionati», aggravati dalla «mancata adozione di precauzioni». Gli investigatori hanno documentato «un piccolo numero di violazioni commesse da Forze armate ucraine, compresi probabili attacchi indiscriminati e due incidenti che si qualificano come crimini di guerra».
Il report conferma quasi tutte le accuse raccolte dai giornalisti e dalle agenzie internazionali presenti sul campo. Le testimonianze sono state riscontrate personalmente. Come quelle dei bambini «costretti ad assistere allo stupro dei loro cari o, in un caso, a restare con i corpi delle vittime nel seminterrato di una scuola». I prigionieri nelle strutture di detenzione russe vengono regolarmente sottoposti a torture, abusi sessuali, sevizie con scosse elettriche, perfino evirazioni. Oltre alla «chiamata al presidente Putin», dal nome che gli aguzzini hanno dato alla tortura con scosse elettriche per mezzo di un telefono militare da campo. Mosca ha reagito attraverso Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri, che con la consueta ambiguità ha detto che la Russia è «pronta ad analizzare casi specifici, a rispondere alle domande, a fornire dati, statistiche e fatti», se gli investigatori sono «obiettivi». Se invece «sono di parte, se rappresentano solo un punto di vista, allora è inutile rispondere a questi rapporti». Le autorità russe non hanno fornito la minima collaborazione alla Commissione, neanche per smentire sul campo le accuse a loro rivolte.
Le immagini delle vittime sopra una fossa comune a Izyum - Ansa / Afp
Il report arriva proprio mentre la Corte penale internazionale dell’Aja ha depositato le prime richieste di arresto, che dovranno essere valutate e autorizzate dal Tribunale. Ma al momento viene escluso che Mosca possa spontaneamente consegnare anche uno solo dei sospettati.
Le forze russe hanno condotto attacchi «indiscriminati e sproporzionati», con «effetti devastanti a diversi livelli», ha dichiarato Erik Møse, presidente della commissione indipendente. «Le perdite umane e il generale disprezzo per la vita dei civili sono sconvolgenti», ha aggiunto. Almeno 13 ondate di attacchi russi a partire da ottobre e rivolti contro le infrastrutture energetiche ucraine, insieme all’uso sistematico della tortura, «possono costituire crimini contro l’umanità».
La Commissione ha documentato casi di violenza sessuale e di genere che hanno coinvolto donne, uomini e ragazze, di età compresa tra i 4 e gli 82 anni, in nove regioni dell'Ucraina e nella Federazione Russa. E stato accertato che «le autorità russe hanno commesso violenze sessuali in due situazioni principali: durante le perquisizioni domiciliari e contro le vittime che avevano confinato» nei campi di filtrazione o di fatto imprigionate nelle proprie case. «Inoltre, la Commissione ha documentato situazioni in cui le autorità russe hanno imposto la nudità forzata, in detenzione, ai posti di blocco e ai punti di filtraggio». Secondo gli esperti Onu non si tratta di episodi, ma di un sistema preordinato. «Stupri e violenze sessuali avvenivano mentre i militari facevano irruzione nelle case delle vittime. La Commissione ha documentato tali violazioni - si legge ancora - nelle regioni di Chernihiv, Kharkiv, Kherson e Kiev, con una maggioranza nella regione di Kiev, soprattutto durante i primi due mesi del conflitto armato. La maggior parte delle vittime erano donne sole in casa».
Gli abusi sono stati commessi «sotto la minaccia delle armi, con estrema brutalità e con atti di tortura, come percosse e strangolamento. Gli autori a volte hanno minacciato di uccidere la vittima o la sua famiglia, se avesse resistito. In alcuni casi, più di un soldato ha stuprato la stessa vittima, oppure lo stupro della stessa vittima è stato commesso più volte». Una ragazza aveva invano supplicato i militari russi di risparmiarla, perché incinta. Pochi giorni dopo ha avuto un aborto spontaneo. «Gli autori, in alcuni casi, hanno anche giustiziato o torturato mariti e altri parenti maschi. I membri della famiglia, compresi i bambini, a volte sono stati costretti a guardare lo stupro dei loro cari».
La Commissione ha rilevato numerosi casi di violenza sessuale e di genere commessi durante la detenzione illegale nelle regioni di Donetsk, Kharkiv, Kherson, Kiev e Luhansk, e anche nella Federazione Russa. Ma nelle prigioni russe «i casi di violenza sessuale e di genere hanno colpito soprattutto uomini, sia civili che prigionieri di guerra». Gli ispettori e i loro consulenti tecnici hanno «analizzato i segni di tali atti sui corpi delle vittime decedute. Secondo i sopravvissuti, gli autori - riferisce il dossier - miravano a estorcere informazioni o confessioni, forzare la cooperazione, punirli, intimidirli o umiliarli, come individui o come gruppo». I metodi usati dagli addetti alle torture sono stati replicati anche a distanza di centiania di chilometri, come se dovessero seguire un preciso schema dettato da un manuale. Gli interrogatori, erano caratterizzati da «stupro, scosse elettriche sui genitali, evirazione». Metodi che non sono mai stati interrotti e che fanno temere per le centinaia di altri prigionieri di guerra ucraini.
Lunedì il dossier sarà consegnato al Consiglio dei diritti umani di Ginevra. La commissione sta lavorando a una lista di possibili colpevoli. Alla domanda se le azioni di Mosca possano essere configurate come sistematiche e non episodiche, ascrivibili a rappresaglie da parte di singoli combattenti o autonomi squadroni della morte, Erik Møse ha risposto parlando di «ipotesi di genocidio».