Il sistema di difesa aerea Iron Dome intercetta i missili iraniani sopra Ashkelon - Reuters
Le strade di Gerusalemme si sono svuotate nel primo pomeriggio. Fatto insolito alla vigilia di Rosh HaShanah, il capodanno ebraico, quando la gente approfitta per le ultime compere in vista della cena della festa. L’avvertimento di Washington di un imminente attacco iraniano, però, ha consentito a Israele di prepararsi. Le persone sono tornate in fretta a casa, a portata di rifugio. Quando, dunque, poco dopo le 19, è arrivato sui cellulari l’ordine perentorio delle autorità, sono scese nei bunker e hanno atteso, nella speranza che, nonostante l’allarme del portavoce militare Daniel Hagari, fosse un remake dell’attacco “simbolico” del 13 aprile.
Alle 19.39, il cielo di Gerusalemme – come quello di Tel Aviv e di buona parte delle città dell’area centrale fino alla giordana Amman – si è puntellato delle comete letali degli ordigni, annunciati dal suono sinistro delle sirene. La danza luminosa e macabra è proseguita per un’ora, a diverse ondate. L’Iran ha scagliato 180 missili balistici e droni, secondo le forze armate di Tel Aviv, Tzahal dall’acronimo. Gli ayatollah hanno parlato di missili ipersonici. Comunque sono stati in buona parte intercettati dallo scudo israeliano Iron Dome insieme a Stati Uniti e Giordania. Gli stessi attori che erano intervenuti cinque mesi e mezzo fa.
Questo spiega l’impatto relativamente contenuto dell’incursione.
A differenza della volta precedente c’è stata una vittima: un palestinese di Gaza residente a Gerico, in Cisgiordania. A Tel Aviv, inoltre, due persone sono state lievemente ferite da una scheggia e, nella parte nord della città, un edificio è stato colpito. Di nuovo, comunque, Teheran sembra avere optato per una mossa più metaforica che reale. Il tono della rivendicazione è stato altisonante. Non solo le Guardie rivoluzionarie hanno detto di avere colpito l’80 per cento degli obiettivi tra cui tre basi nei pressi di Tel Aviv. «Abbiamo preso di mira il cuore dei territori occupati – hanno aggiunto – in risposta al martirio di Ismail Haniyen, Hassan Nasrallah e Nlforoshan», ovvero rispettivamente il leader di Hamas, il capo di Hezbollah e il comandante dei pasdaran.
La missione all’Onu della Repubblica islamica ha rincarato la dose: «Abbiamo compiuto un’azione legale, razionale e legittima di fronte agli atti terroristici» di Tel Aviv. Anche la reazione dell’esercito israeliano è stata enfatica. «Un atto grave che avrà conseguenze», ha minacciato Hagari. La conclusione della rivendicazione iraniana, però, sembra volere smorzare la tensione. «Se il regime sionista reagisce alle operazioni iraniane, dovrà affrontare attacchi devastanti». Ovvero, al netto della retorica, al momento i conti sono pareggiati. Esattamente quanto aveva affermato dopo la rappresaglia in seguito all’attacco al consolato di Teheran a Damasco. Ora, però, la Guida suprema Ali Khamanei, pressato dai falchi dell’establishment, ha dovuto compiere un passo ulteriore. L’Iran si è dichiarato «in stato di guerra» e, di conseguenza, ha chiuso lo spazio aereo e interrotto i voli. La variabile dirimente, a questo punto, è la prossima mossa di Israele.
Israeliani cercano rifugio dai missili iraniani - Reuters
Al Palazzo di Vetro, la scorsa settimana, Benjamin Netanyahu aveva lanciato un monito inquietante agli ayatollah: «Se ci colpirete, vi colpiremo». La Repubblica islamica ha effettivamente battuto il suo “colpo”, per quanto trattenuto, con tanto di comunicazione preventiva a Washington e Mosca. «Abbiamo utilizzato sono una parte della nostra capacità operativa», ha sottolineato il presidente Masoud Pezeshkian. E la risposta di Netanyahu non si è fatta attendere: «L'Iran ha commesso un grande errore: la pagherà», ha tuonato in serata. E da Washington il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha annunciato: «È in corso un dibattito attivo su come Israele risponderà all'attacco missilistico balistico iraniano». Anche la vicepresidente e candidata presidenziale dem Kamala Harris ha ricordato: «Mi assicurerò sempre che Israele abbia la capacità di difendersi contro l'Iran».
«Decideremo noi quando esigere il prezzo dovuto», ha detto Hagari. Il mondo è preoccupato. Nonostante la condanna ferma di Teheran - «Ogni nazione dovrebbe unirsi a noi nel deprecare quest'atto», ha detto -, l’obiettivo Usa è evitare l’escalation. La dichiarazione del segretario di Stato, Antony Blinken, dunque, sulla «palese sconfitta» di Teheran è un appello all’alleato israeliano ad archiviare l’episodio.
Il conflitto per procura tra Tel Aviv e Iran, nel frattempo, prosegue in Libano dove, nella notte, sono previste altre incursioni di Tzahal. Un’invasione a più riprese e mirata, cominciata nella tarda serata di lunedì, a cui è seguito un ritiro tattico. L’obiettivo è distruggere le postazioni del gruppo di élite di Hezbollah, Radwan, senza restare impantanati in un’operazione su larga scala. Per questo, i militari israeliani non entreranno a Beirut e in nessuna delle grandi città anche se, nel sud, hanno allargato il raggio delle azioni, facendo sfollare altre venti comunità. In ogni caso, Tel Aviv non vuole una Gaza-bis come si vede dai numeri più bassi delle truppe impiegate, appartenenti alla 98esima divisione. «Ci attendono comunque giorni difficili», ha annunciato Netanyahu. Non il miglior augurio per il nuovo anno.
La tensione è alta anche sul fronte diplomatico. La mossa più clamorosa di Israele è stata, all'indomani dei raid iraniani, di dichiarare "persona non grata" il segretario generale dell'Onu. Il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha dunque vietato l'ingresso nel Paese ad Antonio Guterres. «Chi non è in grado di condannare inequivocabilmente l'attacco criminale dell'Iran contro Israele non è degno di mettere piede sul suolo israeliano. Questo è un segretario generale che odia Israele, che dà sostegno a terroristi, stupratori e assassini. Guterres sarà ricordato come una macchia nella storia delle Nazioni Unite», ha dichiarato Katz.