Un gruppo di sfollati dal Tigrai in cammino verso il fiume Setit, al confine tra Etiopia e la zona di Kassala in Sudan - Reuters
Tornano dopo 40 anni lo spettro della fame nel Tigrai e i racconti dell’orrore. L’allarme, lanciato dalle agenzie umanitarie delle Nazioni Unite e dalle Ong che stimano in circa 2,5 milioni le persone a rischio, viene confermato dai rapporti e dalle testimonianze dei pochi organismi operativi sul campo.
A 80 giorni dall’inizio della guerra scatenata da Addis Abeba contro il governo regionale del Fronte popolare di liberazione del Tigrai (Tplf), un report di un gruppo di Ong denuncia l’aumento della malnutrizione per le fasce più povere che vivono a Macallè. Gravissima la situazione dei bambini sotto i 5 anni. Su mezzo milione di abitanti, si ritiene che 380mila nel capoluogo della regione settentrionale etiope abbiano bisogno di assistenza umanitaria. Il conflitto ha colpito un’area povera, un milione di persone nella regione dipendevano dagli aiuti umanitari.
Lo scoppio della guerra, il 4 novembre 2020, ha fatto saltare il raccolto dei cereali. Poi la situazione è peggiorata con il blocco governativo degli aiuti, che ha spinto l’autorevole settimanale The Economist a fare un paragone con la carestia del 1983-85 (per contrastare la quale si tenne il concerto Live Aid visto da miliardi di persone ndr) provocata dal regime marxista del Derg per piegare i ribelli del Tplf, oggi nemici del premier Abiy Ahmed. Anche stavolta, secondo il periodico britannico, «la fame pare sia usata come un’arma per sottomettere la regione». Furibonda la replica del governo centrale che ha puntualizzato di aver mandato aiuti per 1.8 milioni di persone.
Ma il centro e l’est del Tigrai restano chiusi e il segretario di Stato Usa nominato Antony Blinken in Senato ha chiesto libero accesso degli operatori e promesso il coinvolgimento attivo della diplomazia di Washington. Kate White, responsabile medico di Medici senza frontiere per l’emergenza Tigrai è appena rientrata da una regione in ginocchio. «Abbiamo visto – ci racconta – decine di migliaia di sfollati in edifici abbandonati o in cantieri in costruzione a Shire, Dansha e Humera o nelle aree orientali e meridionali della regione. Hanno accesso limitato a cibo, acqua pulita e cure mediche. In alcuni luoghi mancano elettricità, acqua corrente, rete telefonica e le banche sono chiuse. Molti ospedali sono stati colpiti. Ad Adua, Axum e Shire, supportiamo le strutture sanitarie prive di farmaci, ossigeno e cibo per i pazienti. Stimiamo che tra i tre e i quattro milioni di persone nella zona centrale non abbiano accesso a cure mediche». Non si sa quanti morti ha provocato il conflitto. Intanto si continua a combattere in molte zone anche con gli stupri.
«Gravi accuse di violenza sessuale nel Tigrai» preoccupano la rappresentante speciale delle Nazioni Unite Pramila Patten. La quale riferito notizie «inquietanti» di individui costretti a stuprare o ad assistere a stupri di familiari. Alcune donne sarebbero state costrette dai militari a prestazioni sessuali in cambio di cibo. Patten ha chiesto ai belligeranti tolleranza zero esprimendo preoccupazione anche per 5 mila rifugiati eritrei che nella zona di Shire dormono all’addiaccio senza acqua né cibo. Sono accanto al campo dell’Acnur/Unhcr di Mai Aini, da dove sono partiti molti rifugiati giunti in Italia con i corridoi umanitari Cei, e provengono dal campo di Shimelba, cui l’Onu non ha ancora potuto accedere. Hanno raccontato che il sito è stato distrutto dalla truppe eritree alleate degli etiopi mentre centinaia di rifugiati sarebbero stati deportati.
L’allarme Onu: nella «capitale» Macallè in 380mila hanno bisogno di assistenza.
Infine gli omicidi eccellenti. A Macallè è stato ammazzato mercoledì scorso un giornalista televisivo tigrino, Dawit Kebede Araya, trovato morto nella sua auto. Era stato arrestato sabato 16 gennaio senza motivo e rilasciato poco dopo. Secondo alcune testimonianze riportate dall’Addis Standard sarebbe stato ucciso dalle forze di sicurezza insieme a un amico. Prosegue anche la caccia ordinata dal premier etiope Abiy Ahmed ai leader del Tplf. L’esercito etiope ha eliminato il 71 enne ex ministro degli esteri etiope Seyoum Mesfin e Asmelash Woldeselassie, eroe di guerra cieco. L’Italia muove qualche passo. Raccogliendo l’appello di numerosi docenti e ricercatori, su impulso della vice ministra Emanuela Del Re la cooperazione italiana ha stanziato 500.000 euro per i progetti umanitari nel Paese.