Bambini sfollati con le loro famiglie nella regione del Tigrai dopo l’offensiva delle truppe di Addis Abeba - Ansa
«Una situazione estremamente preoccupante e fluida». È la responsabile dei diritti umani delle Nazioni Unite Michelle Bachelet a lanciare l’ennesimo allarme sulla situazione umanitaria nel Tigrai ancora isolato e avvolto dopo quasi 40 giorni in un blackout comunicativo. L’esercito etiope continua a impedire l’ingresso agli operatori umanitari per impedire «interferenze » ma cresce la pressione internazionale su Addis Abeba per aprire le porte. Dopo la preoccupazione espressa dal segretario generale dell’Onu Guterres, ieri è arrivata una smentita ad alto livello dal Palazzo di vetro alle parole del premier Nobel per la pace Abiy Ahmed che il 28 novembre aveva dichiarato concluse le operazioni militari partite il 4 novembre con la conquista di Macallè.
Secondo Bachelet invece si combatterebbe nelle aree intorno al capoluogo del Tigrai e nelle città di Sheraro e Axum. «Abbiamo informazioni provate di pesanti violazioni dei diritti umani e di abusi – ha aggiunto – inclusi attacchi indiscriminati contro i civili e gli obiettivi civili, saccheggi, rapimenti e stupri contro donne e ragazze. E ci sono rapporti di reclutamenti forzati della gioventù tigrina per combattere contro le proprie comunità». «Hanno fatto calare il silenzio su questa guerra – testimonia al telefono dall’Olanda dove è appena tornato Kaleb Michil, oppositore del governo eritreo che si trovava ad Axum e a Macallè durante i bombardamenti – perché in realtà hanno colpito obiettivi civili e la popolazione. Ho visto a Macallè l’università colpita e ci sono stati diversi studenti feriti. E moltissimi sfollati che scappavano per mettersi al sicuro. Il problema in questo momento è la mancanza di acqua e di cibo. La popolazione è allo stremo». Gravissima la situazione a Macallè, come confermato alla Reuters dalla Croce Rossa Internazionale. Addis Abeba continua a smentire la presenza in Tigrai di truppe eritree, confermata invece da fonti diplomatiche statunitensi e da operatori Onu.
Resta alta la preoccupazione per i 96mila profughi eritrei che erano nei quattro campi della regione tigrina. Il campo di Shimelba anche secondo fonti umanitarie delle Nazioni Unite potrebbe essere finito sotto il controllo delle truppe di Asmara, che avrebbero cominciato la deportazione dei rifugiati nella confinante Eritrea, commettendo un grave crimine umanitario. «L’Italia è pronta a fornire l’aiuto necessario alle popolazioni civili colpite da conflitto», ha detto la viceministra degli Esteri Emanuela Del Re, evidenziando che il nostro Paese ha già predisposto un intervento per i profughi affluiti finora in Sudan attraverso l’Acnur.