Una terza donna è riuscita a entrare nel tempio indù di Ayyappa a Sabarimala, nel Kerala, dove da mesi si protesta proprio contro il divieto alle donne di accedere al luogo di culto. Lo ha riferito la polizia locale, spiegando che si tratta di una cingalese di 46 anni. "È entrata nel tempio ieri sera, ha 47 anni ed è venuta come devota, eravamo consapevoli e abbiamo seguito la situazione", ha detto Balram Kumar Upadhyay, un ufficiale di polizia del Kerala. Sono intanto saliti a quasi 2.000 gli arresti di fondamentalisti indù che hanno attaccato la polizia che proteggeva le donne in protesta.
E ora potrebbe ulteriormente precipitare la crisi in corso nello Stato indiano meridionale, mentre le due donne che già mercoledì hanno infranto una tradizione secolare entrando nel tempio di Sabarimala sono ora nascoste per evitare il linciaggio. Il 28 settembre, la Corte costituzionale aveva dichiarato illegale il bando all’ingresso delle donne nel tempio dedicato ad Ayyappan, divinità che valorizza l’aspetto ascetico, ma ogni tentativo di accesso era stato bloccato dagli estremisti, arrestati a centinaia. L’azione dimostrativa delle due attiviste, unica a avere successo dopo diversi tentativi negli ultimi mesi, è stata facilitata dalla presenza di ingenti forze di polizia e preceduta lunedì dal “muro umano” lungo 600 chilometri che nel Kerala aveva unito spontaneamente forse cinque milioni di donne per protestare contro discriminazioni e violenze. La reazione dal Sabarimala Karma Samithi, aggregazione locale di gruppi induisti, è stata di dichiarare un hartal (serrata) che sta paralizzando comunicazioni e commerci e che si associa all’azione di cortei e ronde di militanti induisti che si sono scontrati a più riprese con la polizia che cerca di garantire l’ordine e evitare violenze diffuse. Simpatizzava per il Bharatiya Janata Party, partito filoinduista alla guida del Paese, la vittima di un sasso lanciato da manifestanti contrari alla serrata durante scontri tra fazioni.
Per tentare di affievolire la tensione, ma anche di contrastare la pressione internazionale sul suo governo che ha concesso all’estremismo indù spazi sempre più ampi di intolleranza e di oppressione verso le minoranze religiose e i dalit, ieri il primo ministro Narendra Modi ha dichiarato che la discriminazione evidenziata a Sabarimala non è rivolta verso le donne dell’India ma deriva da una tradizione religiosa male interpretata o incompresa. Dalla visita al famoso tempio, antico di 800 anni, centro di pellegrinaggio tra i più frequentati dell’India, sono esclusi non solo i non-indù ma anche tutte le donne tra i 10 e i 50 anni, ovvero in età fertile, la cui presenza è ritenuta «contaminante».
Si tratta di una tradizione diffusa ma che in questo caso si colloca in uno Stato tra i più evoluti del Paese, dove le minoranze – inclusa quella cristiana del 6,2 per cento su 36 milioni di abitanti – hanno una presenza storicamente consistente. Nella situazione attuale, quella di Sabarimala è una vicenda che connette fede, discriminazione e politica. Il Paese, infatti si avvia verso le elezioni parlamentari di primavera in cui la politica filoinduista cerca una conferma e non a caso il premier del governo del Kerala, PinarayiVijayan, ha definito la protesta una mossa «pianificata » e «deliberata» per alzare la tensione in uno Stato dove la maggioranza di governo non è affidata a partiti di ispirazione religiosa ma una coalizione di sinistra.