martedì 19 gennaio 2010
Parigi critica l’America: «Si tratta di sostenere non di invadere il Paese». Dopo i primi soccorsi, scatta la fase due: cibo e medicine ai superstiti.
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I soccorsi ad Haiti passano alla fase due. Dopo la corsa contro il tempo per trovare i feriti intrappolati nelle macerie, ora la sfida è far arrivare un flusso costante di aiuti ai sopravvissuti. A causa di problemi logistici, infatti, a quasi una settimana dal terremoto, acqua, cibo e medicinali stanno appena cominciando ad arrivare nelle mani di una folla sempre più disperata. Gli Stati Uniti hanno assunto un ruolo dominante anche nella distribuzione degli aiuti, come avevano già fatto con il coordinamento dei soccorsi e della sicurezza. Mentre i convogli di cibo inviati dal Programma alimentare mondiale (Pam) dell’Onu sono stati consegnati finora senza scadenze o destinazioni precise, gli americani hanno annunciato ieri che distribuiranno con regolarità acqua, cibo e medicine a partire da questa mattina in 14 punti della capitale. Anche per evitare il sovrapporsi di iniziative, il Canada ospiterà lunedì una riunione dei ministri degli Esteri dei Paesi donatori sugli aiuti a Haiti. Gli Usa continuano intanto a gestire l’aeroporto di Port-au-Prince e mantengono l’obiettivo di portare a 10mila il numero dei soldati dislocati sul territorio colpito dal sisma. Ieri sono arrivati 2.200 marines, una decina di elicotteri, ruspe e attrezzature mediche. Il mandato è proteggere la massiccia operazione umanitaria dai saccheggi. Un dominio Usa che non smette di creare proteste, tanto che ieri il segretario generale delle Nazioni Unite si è visto costretto a precisare che l’Onu è il vero «leader nel coordinamento» degli aiuti internazionali. Ban Ki-moon ha detto anche di aver chiesto al Consiglio di sicurezza di aggiungere 1.500 poliziotti e 2.000 militari alla missione di peacekeeping dell’Onu, che si aggira sui 9.000 uomini, ipotizzando un mandato di sei mesi. Intanto il presidente haitiano Renè Preval, dopo aver incontrato l’ex presidente americano Bill Clinton (arrivato con la figlia Chelsea), inviato speciale delle Nazioni Unite a Haiti, ha spiegato che le truppe Usa si limitano ad «aiutare» i caschi blu dell’Onu a mantenere l’ordine tra le strade di Haiti. «La sicurezza sarà garantita da uomini dell’Onu e non da soldati americani – ha aggiunto poi un portavoce dell’ambasciata Usa –. Nessuno ha intenzione di invadere questo Paese». Chiarimenti obbligati dopo che il segretario di Stato francese alla Cooperazione, Alain Joyandet, aveva chiesto all’Onu di esplicitare il ruolo degli Stati Uniti ad Haiti. «Si tratta di aiutare Haiti, non di occupare Haiti», aveva dichiarato, usando parole simili a quelle del presidente venezuelano e antiamericano dichiarato Hugo Chavez. Intanto arrivava anche la protesta di Medici senza Frontiere, scontenta della gestione dell’aeroporto. Il colonnello Usa Buck Elton, che ha il comando dello scalo, ha spiegato che l’aeroporto è congestionato, nonostante sia riuscito a portare a 100 il numero dei voli giornalieri, contro i 30 prima del terremoto. Le difficoltà organizzative e di coordinamento con la comunità internazionale hanno messo in evidenza la sfida che gli Stati Uniti hanno di fronte ad Haiti: quella di mantenere l’impegno nel Paese a lungo termine e di trovare un modo nuovo di operare che non replichi gli errori del passato che hanno segnato anche recenti calamità naturali. Il New York Times ieri ricordava infatti l’alternato dominio politico o disinteresse degli Stati Uniti con il Paese caraibico.
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