Torino, Milano, Roma, poi Firenze, Ravenna,Taormina, Bologna, Modena e via via tanti altri. Uno a uno, i Comuni italiani hanno aderito ieri all’iniziativa lanciata dal sindaco di Torino e presidente dell’Anci Piero Fassino: bandiere a lutto nei musei e nelle istituzioni culturali per onorare la memoria di Khaled Asaad, per 50 anni direttore del sito archeologico di Palmira, in Siria, ucciso e decapitato l’altro ieri, a 81 anni, dai jihadisti dell’Is che lo tenevano in ostaggio da un mese cercando di estorcergli (anche con la tortura) informazioni su dove siano stati nascosti i reperti più preziosi che Khaled, insieme ad altri archeologi, era riuscito a mettere in salvo prima dell’avanzata jihadista. È il nostro modo di esprimere «il rifiuto e l’esecrazione della ferocia assassina dell’Is, ha spiegato Fassino. Subito raccogliendo adesioni, da nord a sud, alla sua proposta. Il “custode” di Palmira, studioso di fama internazionale che per tutta la vita ha studiato e protetto i reperti del sito Unesco, è stato ricordato ieri dal Pd in tutte le Feste dell’Unità, come annunciato dal premier Matteo Renzi in un tweet in cui ha sottolineato: «Non rassegnarsi alla barbarie, mai». Monsignor Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, ha commentato con dolore l’uccisione di Khaled Asaad. «Che tristezza – ha detto –. Un’azione davvero ributtante, di una atrocità veramente inimmaginabile». «Era una persona di grande valore – ha proseguito monsignor Zenari –, che tanto ha fatto per portare alla luce queste ricchezze artistiche. È semplicemente aberrante esercitare simili atrocità su una persona come lui e della sua età, ultraottantenne, che ha speso la sua vita per la Siria e i suoi beni archeologici, che vanno considerati un patrimonio del mondo intero». Le bandiere a mezz’asta nei musei italiani per ricordare il martirio del custode di Palmira. Dario Franceschini ha guardato e riguardato le foto di Khaled Asaad. Ha immaginato gli ultimi momenti di questo archeologo ottantunenne decapitato dall’Is. «Hanno ucciso un uomo che ha vissuto di cultura – ripete sottovoce il ministro – eppure la cultura resta un mezzo per unire, per avvicinare mondi diversi e fedi diverse. La cultura e l’arte vinceranno la furia delle milizie dello Stato islamico, vinceranno il fondamentalismo ». Le parole e i gesti simbolici che nascono sull’emozione sono importanti, ma Franceschini chiede di più. «Questo archeologo che ha amato Palmira, che ha studiato e difeso le meraviglie di quelle rovine, che ha vissuto per l’arte senza mai concedere nulla alle ideologie diventa un simbolo davanti al quale la comunità internazionale deve ribellarsi. Chi domani andrà a visitare un luogo della cultura dovrà aver presente che ci sono persone che amano talmente un’opera d’arte che sono pronte a dare la vita per difenderla». Il ministro dei Beni culturali ora svela un progetto inedito, una mostra per ricordare i “nostri” Khaled Asaad: uomini che non vennero decapitati, ma difesero il nostro patrimonio nella guerra mondiale, proprio come lui. «Ci sarà nel 2016, per i settant’anni della Liberazione », confida Franceschini che “regala” nuovi particolari sul progetto. «Stiamo raccogliendo materiale su tutto quello che hanno fatto tanti soprintendenti, tanti direttori di musei, tanti storici dell’arte per salvare tante opere d’arte dalle bombe e dai furti. Ci sono storie geniali di opere nascoste, il David di Michelangelo fu coperto con un enorme cilindro di pietra. Ho anche chiamato al telefono Robert Edsel, lo scrittore di
Monuments men, perché ha fatto un secondo libro ambientato in Italia e sarà coinvolto in questo progetto.
Ministro, perché l’Is si accanisce sull’arte? E perché proprio Palmira? Perché su Palmira ci sono gli occhi del mondo, perché Palmira è un teatro unico per dare risalto a quelle gesta barbare. Si decapita un archeologo o si decapita una statua con la stessa ferocia, con la stessa crudeltà: il fondamentalismo schiaccia quello che è estraneo alla propria cultura. Distrugge chi ha una fede diversa, e qui penso ai tanti cristiani uccisi in tante parti del mondo. Distrugge chi ha una storia diversa, chi ama un’arte diversa. O forse anche solo chi ama l’arte. È l’emergenza di questo inizio secolo e – temo – l’emergenza con cui il mondo sarà chiamato a fare i conti per lunghi anni.
Bastano allora le bandiere a mezz’asta? No, non bastano gesti simbolici. Non basta lo sdegno della comunità internazionale. Non basta fare i conti e riflettere sulla folle strategia dell’Is: attaccano l’arte perché l’arte avvicina culture diverse, crea scambio, offre un terreno nuovo per costruire un dialogo luminoso.
Cosa serve, cosa si può fare? Il Patrimonio dell’umanità, dichiarato tale dall’Unesco, è patrimonio dell’umanità. Non di uno Stato. Non di un privato. E allora è la comunità internazionale che deve attrezzarsi per difendere le tante Palmira dalla furia dei terroristi. Noi abbiamo fatto una proposta che ha ricevuto un grande consenso alla riunione degli 83 ministri della Cultura tenuta a fine luglio all’Expo, che è diventata una risoluzione da noi portata in sede Onu e che ora, al consiglio Unesco del 9 ottobre, potrà prendere forma un piano definito: i “Caschi blu” della cultura.
Di cosa si tratta? Di una forza di interposizione, pensata non tanto per intervenire quando il danno è stato fatto, ma per avere una
task-force che cerchi di proteggere prima della distruzione, per mettere in sicurezza i beni. E attenzione: l’Is non solo distrugge, ma trafuga anche il resto per finanziare il terrorismo attraverso il mercato illegale, ci sono già delle prove. Ribadisco: non si può restare a guardare, è già un dovere della comunità internazionale.