L'obbiettivo dichiarato per il momento sono le elezioni di midterm dell’anno prossimo Quello sottaciuto (ma mai negato fin dal momento del commiato) sono le presidenziali del 2024. Alla kermesse del Grand Old Party di Orlando, Donald Trump ha regalato certezze. Di cartapesta, certo, ma è esattamente quello che il suo uditorio voleva sentirsi dire. A cominciare dalla smentita più attesa: The Donald non fonderà un nuovo partito, e non commetterà l’errore del magnate texano Ross Perot, che si presentò come indipendente nel 1992 e tolse voti a George Bush Senior regalando così la Casa Bianca a Bill Clinton. Niente di tutto questo: la sua arena è e rimane il partito repubblicano, il suo bacino elettorale (tolti i delusi di QAnon e i terrapiattisti) è ancora quello che gli ha regalato settantacinque milioni di voti. Un bacino in attesa e un partito guardingo, indeciso se metterlo ai margini per non ripetere la sconfitta del novembre scorso o accettare il fatto che di concorrenti di pari impatto mediatico al momento non ce ne sono. Ci sono invece i traditori, la non piccola pattuglia di coloro che avevano votato a favore dell’impeachment rompendo la muraglia difensiva repubblicana, come Liz Cheney, figlia di Dick, il sulfureo vicepresidente di George W. Bush o il mormone Mitt Romney, ma Trump li ha già liquidati: «Vecchiume, scampoli del passato».
Il presente invece lo vede scagliarsi contro il rivale Joe Biden, definito un fallimento completo già nel primo mese di attività. Sotto tiro l’immigrazione (i 100mila arresti al confine con il Messico, «uno tsunami fuori controllo»), la disoccupazione in crescita, la politica mediorientale, l’agenda identitaria dei dem, l’America First che agli occhi di Trump diventa provocatoriamente America Last.
Non manca – ma il repertorio dell’ex presidente del resto è stranoto – il negazionismo sistematico e la distorsione dei fatti («Ho vinto io, le elezioni erano truccate, la Corte Suprema è un covo di codardi»), grazie al quale The Donald si riguadagna la ribalta e i titoli dei giornali. Ma in filigrana c’è soprattutto un velenoso messaggio (lui lo chiama «friendly advice», un amichevole avvertimento ai «Rino», acronimo per i «repubblicani solo di nome») rivolto a coloro che ambiscono a candidarsi per le elezioni dell’anno prossimo: «Attenzione, sono io che vi scelgo e che vi indico agli elettori. Senza il mio crisma, dice, non arriverete mai in Campidoglio».
In attesa di impossessarsi di nuovo del Grand Old Party, un successore possibile e in parte già designato Donald Trump lo ha individuato. Si chiama Ron De Santis, è italoamericano, quarantatreenne, ex militare (una Bronze Star Medal guadagnata in Iraq) ed studente di Harvard e Yale e attualmente governatore della Florida. È con lui accanto che Trump si accinge a riprendersi il partito e a sperimentare un ticket che potrebbe valere anche per le presidenziali del 2024. Do you miss me yet?, vi sono mancato?, ha chiesto ai suoi sostenitori. Inutile chiedersi che reazione ha avuto una platea prossima al delirio. L’obbiettivo finale ha un ben preciso indirizzo, il 1600 di Pennsylvania Avenue a Washington. Attualmente ci abita Joe Biden, ma The Donald ha dimenticato di riconsegnare le chiavi prima di liberare lo Studio Ovale.