mercoledì 6 novembre 2019
L’arcieparca di Addis Abeba parla dell’appello di papa Francesco sulle stragi in Oromia: «Sono molto preoccupato e addolorato per ciò che è successo. La Ue dimentica il suo passato e chiude ai poveri»
Il cardinale Berhaneyesus Souraphiel (Ansa)

Il cardinale Berhaneyesus Souraphiel (Ansa)

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In un momento cruciale per il futuro dell’Etiopia, il secondo Paese africano, la piccola Chiesa cattolica è scesa in prima linea per sostenere la pace e la democrazia in mezzo alle contraddizioni di un gigante complesso. «Sono molto preoccupato e addolorato per quello che è successo nei giorni scorsi». Non usa mezzi termini il cardinale di Addis Abeba Berhaneyesus Souraphiel. Lo incontriamo nell’arcieparchia della capitale etiopica in un clima teso e incerto.

«Le violenze, gli scontri in Oromia i morti ricordati anche da papa Francesco dopo l’Angelus domenica scorsa sono avvenuti mentre mi trovavo in visita pastorale negli Usa e tutte le istituzioni governative che ho incontrato si complimentavano con il mio Paese per il Premio Nobel per la pace assegnato al primo ministro Abiy Ahmed. Per tutti era una bella novità e un segno di speranza. Mi sono vergognato, abbiamo finalmente fatto la pace con i nostri vicini e abbiamo la guerra dentro casa! Ma continuiamo a sperare perché il premier non ha scelto di rispondere con la violenza, continua a pensare che l’unica soluzione ai problemi dall’Etiopia siano il dialogo e la riconciliazione. Per lui è importante che il futuro del Paese sia l’unità nella diversità».

Lei presiede dallo scorso febbraio la commissione nazionale per la riconciliazione nazionale voluta dal premier e votata dal Parlamento. Che cosa farete?
Intanto voglio segnalare che la vicepresidente é una donna molto preparata, l’avvocato Yetnebersh Nigussie, attivista per i diritti umani e non vedente dall’età di 5 anni. Ha studiato in una scuola cattolica per non vedenti ed è credente. La comunità cattolica è piccola, non arriviamo al 2% della popolazione, ma guidiamo questa commissione perché riscuotiamo la fiducia di ortodossi, islamici e protestanti. Per noi riconciliazione e pace in questo momento di tensioni etniche sono una grande sfida. Dietro le tensioni c’è la concorrenza politica per le elezioni e ci sono sponsor internazionali dei conflitti, vediamo giochi di potere per destabilizzare il Paese. Parleremo coi nove governatori regionali, con i leader politici e religiosi e gli anziani prima delle elezioni. Gli diremo che la scelta ora è tra pace e distruzione. Diano un segnale al popolo perché la gente ha vissuto per secoli in pace e ora vuole uscire dalla povertà, non soffrire. Dopo i colloqui convocheremo una conferenza nazionale.

Le elezioni si terranno in maggio?
Non è detto che siano in maggio. Forse saranno posticipate. È certo che si terranno, ma la data non è certa. Abbiamo inoltre deciso che venga istituita una giornata comune di preghiera per la pace di cristiani e musulmani. Pensiamo che la pace verrà solo da Dio.

Cosa farete per preparare la gente alle elezioni?
Sono un passaggio delicato. Dobbiamo informare bene la popolazione sotto ogni aspetto. Per quanto riguarda la Chiesa, il segretariato cattolico nazionale contatterà i 13 segretari diocesani arrivando fino al livello parrocchiale. Dobbiamo spiegare a tutti cosa sono queste elezioni, l’importante è educare. Poi con i membri della commissione della riconciliazione e pace delle altre religioni pregheremo e ci impegneremo perché siano pacifiche. Questa è la nostra preoccupazione più grande. Però mi fa ben sperare il fatto che ormai Addis Abeba sia diventata una metropoli internazionale e con molte rappresentanze diplomatiche grazie alla presenza dell’Unione Africana e delle Nazioni unite e di tanti ambasciatori europei, americani, asiatici. Ci sono molti occhi a sorvegliare lo svolgimento delle elezioni. Speriamo che con le riforme proposte dal premier Abiy si possano gettare le fondamenta di uno stato democratico con istituzioni solide.

L’Etiopia ha accolto un milione di rifugiati da Somalia, Sud Sudan ed Eritrea e il flusso continua. Cosa pensa delle chiusure europee verso i migranti e i profughi?
Mi sembra che sia la prima volta nella storia europea. Non è biblico né cristiano. In Etiopia lo straniero è sacro, è come se fosse una persona mandata da Dio. Forse gli europei si sono dimenticati di quando erano loro i profughi e i migranti e sono stati ben accetti in tutto il mondo. Adesso che tocca a loro accogliere i poveri, chiudono. La sfida dell’Europa, in particolare per i credenti, è ritrovare le proprie radici cristiane per vincere anche questa sfida umanitaria. Non è facile essere un cristiano oggi in Europa. Il Papa, che abbiamo invitato e che speriamo venga in Etiopia, ha accolto i profughi siriani, anche musulmani. E ha gettato i fiori in mare a Lampedusa per tutti morti di ogni fede. Nessun leader politico ha avuto il coraggio di farlo. Così ha ricordato a tutti che i profughi sono persone, non merce.

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