Emmanuel Macron in Egitto - ANSA
Da questa sponda dell’Atlantico non la chiamiamo così, “lame duck”, come fanno gli americani quando un leader vacilla e perde il controllo parlamentare. Ma a ben vedere, di “anatre zoppe” affacciate sulle rive del Reno qui in Europa ce ne sono ben due, la Germania e la Francia. Berlino e Parigi, il fatale asse carolingio, il motore d’Europa, l’inossidabile alleanza fra due antichi nemici divenuti alleati nella guida – per lunghi anni venata di una spocchia che sconfinava spesso nell’arroganza nei confronti dei Paesi meno virtuosi – di un’Unione dove a decidere tutto (o quasi) era il rapporto inscalfibile fra i due giganti politici ed economici.
Oggi, dopo il voto di sfiducia del Rassemblement Nationale di Marine Le Pen e della France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon che affonda il governo interrotto di Michel Barnier, è chiaro a tutti che il bersaglio dei due schieramenti arcinemici – la destra populista, nazionalista, xenofoba e sovranista e la gauche giacobina votata alla fraternité e alla guerra ai privilegi del ricchi – non è Palais Matignon, ma l’inquilino dell’Eliseo, quell’Emmanuel Macron che si guadagna in questo attimo di brivido l’appellativo di Re Solo.
Perché Macron, il più narcisista dei presidenti francesi, ancora non crede alla possibilità di una disfatta. Eppure ce l’ha davanti agli occhi. È vero, prima di un anno dalle elezioni non si può tornare al voto, dunque fino all’estate prossima niente scioglimento dell’assemblea. Ma il bersaglio grosso, si è detto, è lui stesso, Macron. Che potrebbe e secondo molti dovrebbe dimettersi, secondo lo spietato assalto parlamentare delle due ali estreme. Ma che molto difficilmente lo farà.
Prigioniero della propria autonarrazione che cerca ogni giorno di sovrapporre alla realtà del Paese, l’ex ragazzo prodigio che sognava di diventare attore e si era messo in luce con il governo Hollande dopo un trascorso prima all’Ena (la prestigiosa École Nationale d’Administration) e poi alla Banca Rothshild, dalla quale era uscito già milionario in euro, oggi affronta un’inedita realtà fatta di due record: la prima sfiducia di governo dal 1962 (all’epoca toccò a Georges Pompidou e De Gaulle ne dovette accogliere le dimissioni) e il più breve esecutivo – quello di Barnier – dal 1958. Ma Macron, il “Re Solo”, può vantare anche un altro record, questa volta tutto personale: il 72% dei francesi non lo reputa un buon capo di Stato e un sondaggio Ipsos per Le Monde rivela che per il 52% dei francesi si dovrebbe dimettere.
Dietro l’ombra solitaria di Macron, l’ex teen ager che amava sopra ogni cosa Les Demoiselles d’Avignon di Picasso, leggeva Gide, suonava il pianoforte e si commuoveva ascoltando Charles Aznavour, si staglia una Francia impaurita e allarmata che non crede più nel presidente e men che meno – nonostante l’allure di vecchio uomo di Stato di Barnier, l’uomo dei negoziati europei con la Brexit - nei suoi primi ministri. La legge di bilancio 2025 prevede aumenti delle tasse e 60 miliardi di euro di tagli alla spesa pubblica e all’orizzonte lumeggia un deficit pubblico attorno al 6 per cento, troppo vicino a quello dei cugini italiani per non impensierire il governo. Lui invece, “Le Roi Seul”, ostenta fiducia. Dimettersi? Fantapolitica, dice. Resterà, resisterà, supererà lo scoglio dell’impopolarità.
Ma non saranno solo i francesi a rimetterci. Un’Europa azzoppata dei propri leader è un’Europa fragile, ondivaga, in balia di risacche e tempeste. E non tanto perché nel bene e nel male (nel male, più che altro) Parigi rappresenti dopo l’uscita britannica dalla Ue l’unica nazione dotata di deterrenza nucleare, e nemmeno perché a una Francia senza bussola corrisponde un’Europa senza valori. Il guaio riguarda tutti noi: una reggenza troppo lunga nelle mani di Bruxelles in attesa che l’asse carolingio Parigi-Berlino guarisca le proprie ferite è forse peggio di una Francia messa in ginocchio dalla tenaglia degli opposti estremismi. Sabato arriverà a Parigi Donald Trump per la cerimonia di riapertura di Notre Dame. Un uomo destinato ad avocare a sé tutti i poteri, come un monarca dell’alto medioevo. Macron pagherebbe oro per portargliene via un po’.
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