Nicolas Maduro festeggia la riconferma dopo le elezioni - Reuters
In una manciata di ore, il Venezuela è passato dalla “festa” alla rabbia. Alla domenica di file e i capannelli spontanei di persone di fronte agli 30mila seggi, è seguito un lunedì di negozi chiusi e serrande abbassate. La gente, alla fine, è tornata per strada, per protestare a suon di pentole sbattute - i tradizionali "cacerolazos" - contro «i brogli». Lo spartiacque tra i due momenti è stato l’annuncio del Consiglio nazionale elettorale, a sei ore dalla chiusura delle urne delle presidenziali (l’alba in Italia). Una doccia fredda per i venezuelani – la maggioranza della popolazione, secondo i sondaggi indipendenti – che avevano sperato nel cambiamento. Con l’80 per cento delle schede conteggiate, l’organismo ufficiale di vigilanza ha attribuito la vittoria al presidente Nicolás Maduro, confermato per un terzo mandato con il 51,2 per cento, sette punti in più del leader dell’opposizione Edmundo González. Il conteggio finale – arrivato a oltre 24 ore dalla fine del processo – ha confermato le cifre preliminari. Un capovolgimento rispetto alle previsioni della vigilia che davano quest’ultimo in vantaggio di una quota tra i dieci e i venti punti.
L’opposizione ha subito respinto al mittente i risultati, denunciando brogli. «Abbiamo vinto noi, con il 70 per cento», ha tuonato Corina Machado, vincitrice delle primarie del fronte anti-chavista ma tagliata fuori dalla corsa per volontà del governo. È stata lei a indicare come proprio sostituto González e a trasferirgli il proprio capitale di popolarità. Immediatamente, al grido dell’opposizione, si è unita buona parte della comunità internazionale, a partire dagli Stati Uniti. Dall’Onu agli osservatori indipendenti del Centro Carter ai vicini latinoamericani, tutti hanno chiesto il riconteggio delle schede. Il Consiglio elettorale nazionale ha pubblicato i risultati complessivi, non quelli relativi a ogni sezione in modo da poterne verificare la corrispondenza con le copie cartacei stampate in automatico dal sistema.
Queste ultime sono pubbliche. Machado, però, ha detto che i propri osservatori hanno avuto accesso solo al 40 per cento. A incrementare i sospetti, infine, la lentezza nella diffusione del verdetto: in teoria, con il voto elettronico sono disponibili quasi in tempo reale. Il procuratore capo, Tarek William Saab, ha giustificato il ritardo con un attacco informatico al meccanismo di trasmissione dei dati proveniente dalla Macedonia del Nord. E ha puntato il dito contro Machado, sotto indagine per aver cercato di violare i pc per manipolare i risultati. Non è la prima volta che l’esito elettorale viene contestato in Venezuela. È stato così per il voto per l’Assemblea Costituente, nel 2017, e per le precedenti presidenziali, del 2018. Le legislative del 2020, invece, sono state boicottate dall’opposizione. Stavolta, però, la consultazione si è svolta nell’ambito di un lungo e complesso negoziato tra Caracas e Washington con l’obiettivo di normalizzare le relazioni e consentire il pieno ritorno del Venezuela sui mercati internazionali. Maduro si era impegnato a garantire una consultazione «libera e trasparente». Non è riuscito, però, a mantenere la promessa e a fugare i dubbi del mondo. Invece di inaugurare la riammissione di Caracas nel consesso globale, rischiano di sancire una nuova fase di esclusione. Non solo Washington, anche i principali governi progressisti del Continente hanno preso le distanze da Maduro. A “pesare” è soprattutto la scelta brasiliana di unirsi alla richiesta di riconteggio. Il governo di Luiz Inácio Lula da Silva è stato fondamentale nell’agevolare la mediazione con gli Usa prima del voto.