lunedì 29 luglio 2024
Secondo i primi dati non ufficiali il presidente uscente avrebbe ottenuto il 51,2% delle preferenze. Forti critiche sull'affidabilità del risultato. Denunciata un'operazione di hackeraggio.
Nicolas Maduro festeggia la riconferma dopo le elezioni

Nicolas Maduro festeggia la riconferma dopo le elezioni - Reuters

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In una manciata di ore, il Venezuela è passato dalla “festa” alla rabbia. Alla domenica di file e i capannelli spontanei di persone di fronte agli 30mila seggi, è seguito un lunedì di negozi chiusi e serrande abbassate. La gente, alla fine, è tornata per strada, per protestare a suon di pentole sbattute - i tradizionali "cacerolazos" - contro «i brogli». Lo spartiacque tra i due momenti è stato l’annuncio del Consiglio nazionale elettorale, a sei ore dalla chiusura delle urne delle presidenziali (l’alba in Italia). Una doccia fredda per i venezuelani – la maggioranza della popolazione, secondo i sondaggi indipendenti – che avevano sperato nel cambiamento. Con l’80 per cento delle schede conteggiate, l’organismo ufficiale di vigilanza ha attribuito la vittoria al presidente Nicolás Maduro, confermato per un terzo mandato con il 51,2 per cento, sette punti in più del leader dell’opposizione Edmundo González. Il conteggio finale – arrivato a oltre 24 ore dalla fine del processo – ha confermato le cifre preliminari. Un capovolgimento rispetto alle previsioni della vigilia che davano quest’ultimo in vantaggio di una quota tra i dieci e i venti punti.


L’opposizione ha subito respinto al mittente i risultati, denunciando brogli. «Abbiamo vinto noi, con il 70 per cento», ha tuonato Corina Machado, vincitrice delle primarie del fronte anti-chavista ma tagliata fuori dalla corsa per volontà del governo. È stata lei a indicare come proprio sostituto González e a trasferirgli il proprio capitale di popolarità. Immediatamente, al grido dell’opposizione, si è unita buona parte della comunità internazionale, a partire dagli Stati Uniti. Dall’Onu agli osservatori indipendenti del Centro Carter ai vicini latinoamericani, tutti hanno chiesto il riconteggio delle schede. Il Consiglio elettorale nazionale ha pubblicato i risultati complessivi, non quelli relativi a ogni sezione in modo da poterne verificare la corrispondenza con le copie cartacei stampate in automatico dal sistema.

Queste ultime sono pubbliche. Machado, però, ha detto che i propri osservatori hanno avuto accesso solo al 40 per cento. A incrementare i sospetti, infine, la lentezza nella diffusione del verdetto: in teoria, con il voto elettronico sono disponibili quasi in tempo reale. Il procuratore capo, Tarek William Saab, ha giustificato il ritardo con un attacco informatico al meccanismo di trasmissione dei dati proveniente dalla Macedonia del Nord. E ha puntato il dito contro Machado, sotto indagine per aver cercato di violare i pc per manipolare i risultati. Non è la prima volta che l’esito elettorale viene contestato in Venezuela. È stato così per il voto per l’Assemblea Costituente, nel 2017, e per le precedenti presidenziali, del 2018. Le legislative del 2020, invece, sono state boicottate dall’opposizione. Stavolta, però, la consultazione si è svolta nell’ambito di un lungo e complesso negoziato tra Caracas e Washington con l’obiettivo di normalizzare le relazioni e consentire il pieno ritorno del Venezuela sui mercati internazionali. Maduro si era impegnato a garantire una consultazione «libera e trasparente». Non è riuscito, però, a mantenere la promessa e a fugare i dubbi del mondo. Invece di inaugurare la riammissione di Caracas nel consesso globale, rischiano di sancire una nuova fase di esclusione. Non solo Washington, anche i principali governi progressisti del Continente hanno preso le distanze da Maduro. A “pesare” è soprattutto la scelta brasiliana di unirsi alla richiesta di riconteggio. Il governo di Luiz Inácio Lula da Silva è stato fondamentale nell’agevolare la mediazione con gli Usa prima del voto.

Dopo, nelle ultime ore, ha continuato sottraccia per ricondurre Maduro a più miti consigli. Non è casuale la scelta di inviare a Caracas il consigliere speciale per gli affari internazionali, Celso Amorím. Gli Usa, nel frattempo, si stanno coordinando con i Paesi latinoamericani per trovare una soluzione alla crisi. Al momento, però, il presidente sembra poco disposto a negoziare. Rispolverando i toni aggressivi – ammorbiditi durante la campagna – ha denunciato un complotto ai suoi danni. «La coalizione della destra internazionale guidata dagli Stati Uniti cerca di portare a termine in Venezuela un nuovo colpo di stato istituzionale di stampo fascista. Mi volevano mitragliare in piazza, lo sappiamo perché sono stati arrestati ed hanno confessato», ha detto nella cerimonia di proclamazione della vittoria. Al di là della propaganda, però, Maduro sa che una riedizione del muro contro muro del 2019 potrebbe essere fatale per la ripresa economica, seppur debole, in atto negli ultimi anni. E un nuovo tracollo metterebbe a dura prova la sua tenuta.


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