Una delle aree inondate dalle acque del fiume Tigri (ANF)
L'episodio è passato senza grandi clamori delle cronache. Anzi, quasi ignorato dalle agenzie e media ufficiali turchi non ha avuto quasi alcuna risonanza. E tre settimane dopo il disastro, la situazione è tutt’altro che tornata alla normalità. Tutto è accaduto tutto in poche ore.
Dopo lunghe ed intense piogge, la sera del 13 dicembre scorso una delle tre chiuse della diga di Dicle sul fiume Tigri nel profondo sud si infrange, provocando l’allagamento di una vasta area in cui erano presenti centinaia di insediamenti. Da quel giorno il livello dell’acqua è aumentato fino a raggiungere i sei metri di altezza lungo un percorso di oltre 200 chilometri. L’allerta diramato con diverse ore di anticipo dalle autorità statali ha evitato che vi fossero vittime tra la popolazione. Ma una devastazione di tali proporzioni, che ha costretto diverse migliaia di famiglie a trascorrere la notte all’addiaccio con temperature intorno a zero gradi, ha finito per compromettere gravemente l’ambiente e lo sviluppo economico di intere zone agricole.
La diga Dicle1, che raggiunge una capacità di 595 milioni di metri cubi l’anno, è stata costruita per la fornitura di elettricità, acqua potabile e per l’irrigazione dei centri a nord della provincia di Diyarbakir, città a maggioranza curda nel sud-est della Turchia, è in attività dal 2000.
Il suo serbatoio si è riempito al punto che l’operatore della struttura, la società energetica statale Euas, ha attivato lo sfioratore per fare defluire l’acqua. «Una piena così non si vedeva da oltre dieci anni – spiega Ercan Ayboga, rappresentante del Movimento ecologista della Mesopotamia –. L’esito della rottura di una delle chiuse è il rilascio costante di 1.600 metri cubi al secondo di acqua. Questo proseguirà fino a quando il livello nella diga scenderà di 11 metri. Considerando che il flusso medio annuale del Tigri in questo tratto è inferiore a 100 metri cubi al secondo, si può ben comprendere la dimensione dell’inondazione».
Prima della costruzione della Dicle e della parte superiore della diga di Kralkizi, il Tigri aveva ogni 10-15 anni una portata così elevata, eppure le popolazioni stabilitesi lungo il suo corso avevano organizzato la loro esistenza adattandola alle piene naturali, annullate poi con la realizzazione delle due dighe. Tra le aree colpite vi sono anche diversi tratti degli storici giardini di Hevsel della città di Diyarbakir, patrimonio mondiale dell’Unesco mentre diverse attività di pesca, oltre 15 banchi di sabbia e altre strutture commerciali sono andati distrutti. Fra le cause del disastro, la scarsa manutenzione e la mancanza di addestramento del personale. Secondo l’Ordine degli ingegneri civili di Diyarbakir, questi due fattori potrebbero essere all’origine della catastrofe ambientale. E si punta il dito contro il Dsi, l’ente di Stato responsabile per le politiche idriche, reo di non aver adottato misure adeguate dopo gli allarmi.
«Nessuna zona di rischio di alluvioni è stata classificata lungo il fiume Tigri – denuncia il Movimento ecologista in una nota –. Se fossero stati sviluppati piani di rischio di alluvioni e provvedimenti a difesa dei centri abitati, migliaia di persone non sarebbero state costrette a lasciare le case».
Tutto questo ad una manciata di chilometri da Sur, il centro storico di Diyarbakir il cui eccezionale valore universale è stato riconosciuto dall’Unesco, che nel luglio 2015 lo ha inserito nella World Heritage List. Da tre anni in sei quartieri di quel gioiello antico 4.000 anni vige il coprifuoco, imposto da Ankara nella sua guerra contro il Pkk.