Il presidente venezuelano Nicolás Maduro (Ansa)
Molti analisti l’avevano presa come una delle solite “boutade”. Invece, il 24 maggio, quattro giorni dopo il controverso voto, nel discorso pronunciato durante il giuramento da presidente di fronte all’Assemblea costitutente, Nicolás Maduro diceva sul serio quando affermava di essere disposto a liberare «le persone detenute per violenza politica». Un’acrobazia linguistica per indicare gli oltre 350 tra militanti e dirigenti dell’opposizione, detenuti nelle carceri venezuelane dopo le proteste del febbraio 2014 e della scorsa estate. Ventiquattro ore dopo, sono stati rilasciati 22 reclusi dello Stato del Zulia.
Anche stavolta, la notizia era passata inosservata. Fino a ieri. Quando il ministro della Comunicazione, Jorge Rodríguez, ha ribadito l’annuncio del presidente. E confermato, per le ore succesive, la liberazione di altri prigionieri. Tra questi, alcune figure di rilievo, tra cui l’ex sindaco di San Cristóbal, Daniel Ceballos, l’ex generale Ángel Vivas e l’attivista Geraldine Chacón. I desi- gnati – trentanove – sono stati trasferiti dal penitenziario dei servizi segreti, El Helicoide, alla Casa Amarilla, sede del ministero degli Esteri, dove li attendevano la leader della Costituente, Delcy Rodríguez, e vari garanti: il nunzio Aldo Giordano, il procuratore Tarek William Saab, l’ex sfidante di Maduro, Javier Bertucci, i governatori dell’opposizione Laidy Gómez, Alfredo Díaz, Ramón Guevara e Antonio Barreto Sira, oltre a rappresentanti dei differenti partiti. Poi la liberazione. La prima di una serie, ha sottolineato Delcy Rodríguez: i prossimi scaglioni saranno imminenti.
Maduro ha definito le liberazioni «atti di buona volontà per promuovere la riconciliazione dei venezuelani ». In realtà è il risultato della doppia pressione prodotta dal crescente isolamento internazionale e dal buon esito del boicottaggio delle ultime elezioni da parte dell’opposizione. Il presidente cerca di corteggiare quest’ultima con le scarcerazioni di ieri. E di convincerla a riprendere il dialogo, interrotto per l’ennesima volta a febbraio dopo la convocazione unilaterale delle urne del governo. Al momento, la Mesa de unidad democrática (Mud) – che riunisce i gruppi anti-Maduro – ha escluso di tornare al tavolo. Una parte di quest’ultima, il “gruppo dei governatori” – di cui fanno parte Gómez, Díaz, Guevara e Barreto Sira – si sono detti, invece, disposti a una negoziazione alternativa su questioni sociali, economiche e politiche.
In particolare, sul dramma umanitario della nazione. La pre-condizione, però, era proprio il rilascio dei detenuti politici. Il passo del governo, dunque, potrebbe aprire uno spiraglio per uscire da un labirinto sempre più intricato.