Una bambina di 10 anni, impiegata come domestica presso una famiglia “bene” della grande città di Lahore, è stata e torturata e picchiata a morte. Il caso risale al 6 gennaio e ha trovato ampia eco sui mezzi d’informazione pachistani, che hanno sottolineato l’efferatezza del delitto a fronte di una motivazione irrisoria. Per i datori di lavoro, Altaf Mehmood, la moglie Nasira Altaf i loro due figli, i maltrattamenti che hanno portato alla morte di Iram sarebbero stati la punizione per il furto di 100 rupie (70 centesimi di euro). Indignazione e reazione anche da parte delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani, che segnalano come questo caso sia soltanto “la punta di un iceberg”.La madre della bambina, la vedova Zubaida Bibi, aveva pensato di togliere dalla strada e dal rischio di abusi la minore delle tre figlie, mandandola per alcuni mesi al servizio di una famiglia benestante per un salario di 3mila rupie (circa 20 euro) al mese. La piccola è invece caduta vittima dell’instabilità mentale della padrona di casa, che ha confessato di averla legata e torturata per due giorni fino alla morte in presenza del marito e del figlio di 16 anni, per «darle una lezione» dopo averla accusata di furto.Il fatto che la legge pachistana – a pochi giorni dal gesto eroico di un ragazzo di 14 anni che si è immolato per fermare un kamikaze – preveda la difesa delle minoranze e la punizione della discriminazione e degli abusi rende ancora più drammatico lo sfruttamento a cui sono sottoposte le donne che per povertà, educazione o appartenenza alle minoranze si trovano a dovere lavorare fuori casa.Una situazione rilevata anche da uno studio della Commissione Giustizia e Pace della Chiesa cattolica pachistana intitolato “Vita ai margini”. Il rapporto, basato sulle testimonianze di un migliaio di indù e cristiane, segnala come il 43 per cento delle donne appartenente alle minoranze abbia sofferto discriminazioni sul posto di lavoro e nell’istruzione e che il 76 per cento di esse ha subito una qualche forma di abuso sessuale. Questi ultimi casi sono particolarmente frequenti per le lavoratrici domestiche, una condizione che si associa a bassi salari e condizioni di lavoro spesso insostenibili. Il caso più noto è quello di Shazia Bashir, 12 anni, che dopo otto mesi di sostanziale schiavitù nella casa di un ricco avvocato musulmano di Lahore, Chaudhry Muhammad Naeem, nel gennaio 2010 è deceduta per le violenze sessuali e le torture a cui era stata sottoposta. Il suo salario mensile era stato pattuito in mille rupie, ovvero meno di sette euro.