Il porto di Beirut completamente devastato dall'esplosione nell'agosto del 2020 - Ansa
Duecentoquarantotto vittime e ancora nessuna verità. Giovedì ricorre il secondo anniversario della devastante esplosione al porto di Beirut che alle ore 18.08 di quel 4 agosto 2020 ha causato circa 6.500 feriti, molti dei quali menomati a vita, e 300mila sfollati che hanno perso la casa e i ricordi di tutta una vita.
Quella di Beirut è considerata tra le dieci più potenti deflagrazioni non nucleari della storia. Come se non bastasse, una parte dei silos, rimasti in piedi come un monumento alla tragedia che ha devastato metà capitale libanese, è crollata proprio domenica scorsa in seguito a una serie di incendi, secondo alcuni dolosi. Un nuovo richiamo all’impunità di cui gode l’oligarchia politica al potere in Libano, che da due anni sta cercando di insabbiare la verità incalzata senza sosta dai familiari.
Fiamme dopo l'esplosione a Beirut nel 2020, che ha ucciso 248 persone - Ansa
Non vi sono ancora chiarimenti sulle cause e tanto meno sui responsabili dello stoccaggio senza precauzioni, sin dal 2013, di 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio, di cui solo una parte ha portato alla deflagrazione.
Il giudice Tareq Bitar, incaricato delle indagini, è stato bloccato di fatto dalle varie richieste di ricusazione presentate da alcuni ex ministri e deputati accusati di essere stati al corrente della grande quantità di materiale altamente esplosivo lasciata incustodita in un hangar del porto. Due deputati indagati si sono addirittura fatti eleggere a giugno membri della Commissione parlamentare per la giustizia. Intanto rimangono in carcere, in attesa di un’imputazione formale, decine di impiegati del porto di medio e basso rango, accanto ad alcuni dirigenti dello scalo marittimo, unici capri espiatori di un irrisolto dramma collettivo.
Un'altra immagige del porto di Beirut distrutto dallo scoppio - Ansa
Il lavoro finora svolto da Bitar è comunque servito a dimostrare come tutti i vertici libanesi fossero al corrente della presenza del pericoloso materiale nel cuore della capitale. Attivisti e familiari delle vittime non si risparmiano per ricordare i loro cari, dall’erezione di un monumento al porto, ai sitin. L’ultima vittima, George Haddad, 68 anni, si è spenta alcune settimane fa in ospedale mettendo fine a quasi due anni di coma.