«Diamo il benvenuto al ritorno di questi minori e speriamo che si tratti soltanto dell’inizio. Giudichiamo gravemente irresponsabile il comportamento di ministri di governo che si sono opposti al loro rientro». Non usa mezzi termini la charity britannica “Save the children” per commentare il primo rimpatrio di figli di combattenti britannici del Daesh rimasti bloccati nella Siria nordorientale.
Si tratta di un piccolo gruppo, molti dei quali al di sotto dei cinque anni, alcuni orfani, che vivono da mesi in condizioni quasi infernali. Senza i genitori, denutriti, in baracche che possono prendere fuoco in qualunque momento. Subiscono violenze fisiche e assistono a continui atti di aggressione nei confronti dei genitori quando questi ultimi sono ancora vivi. A rientrare sono soltanto alcuni – non si conosce il numero preciso – che sono stati affidati a una delegazione del Ministero degli Esteri. Circa sessanta rimangono ancora in Siria. La Gran Bretagna, infatti, è in ritardo, rispetto ad altri Paesi come la Francia, la Danimarca, la Norvegia e il Kazakistan, che hanno rimpatriato prima i loro connazionali, soprattutto se minori.
Nel Regno Unito vi è sempre stata grande resistenza ad accogliere chi è voluto partire per arruolarsi nelle fila del Daesh. Famoso il caso di Shamima Begum, l’adolescente che era partita, insieme a delle amiche, nel 2015, per unirsi allo Stato islamico finendo per sposare uno dei combattenti. Aveva chiesto a febbraio il permesso di rientrare per dare alla luce il terzo figlio, dal momento che i primi due erano morti per denutrizione e mancanza di condizioni sanitarie adeguate.
Il ministro Sajid Javid, allora responsabile del dicastero degli Interni, era stato, però, irremovibile. Aveva risposto alla richiesta privando Shamima della cittadinanza e giustificandosi dicendo che la ragazza «rappresentava un pericolo per la sicurezza del Regno Unito». Secondo il quotidiano “Guardian” questa stessa motivazione – ovvero la necessità di proteggere i cittadini del Regno Unito – è stata usata anche dal successore di Javid, Priti Patel, per bloccare, all’ultimo momento lo scorso ottobre, l’operazione umanitaria che avrebbe riportato in patria i minori fermi in Siria.
Era già stato individuato, infatti, un corridoio sicuro per far uscire i bambini dal Paese e condurli fino ad Erbil, in Iraq, dove un volo diretto li avrebbe riportati nel Regno Unito. Qui alcune amministrazioni locali avrebbero accolto i minori aiutandoli a superare i traumi che avevano vissuto. È stato grazie a un gruppo di giornalisti della “Bbc”, che ha intervistato tre di questi orfani di circa dieci anni che parlavano inglese, che la loro tragedia è arrivata all’attenzione dell’opinione pubblica britannica e la situazione si è sbloccata.
La più grande dei tre bambini, Amira, ha detto, infatti, di voler rientrare nel Regno Unito perché i suoi genitori e altri membri adulti della famiglia erano stati uccisi nell’assalto a Baghouz, ultima roccaforte del Daesh, tra l’Eufrate e il confine iracheno. È stato soltanto a questo punto che il Ministero degli Esteri britannico ha deciso di intervenire.
Rimpatriato il primo gruppo di bambini di nazionalità inglese, figli di donne arruolatesi nel Califfato. Vinta l’opposizione del governo britannico. Alcune decine restano ancora nei campi profughi
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