martedì 22 ottobre 2024
La proposta del gruppo di riflessione cristiana: «Occorre una nuova soluzione. E la comunità deve lavorare con ebrei e musulmani per la pace»
La città vecchia di Gerusalemme

La città vecchia di Gerusalemme - Reuters

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Immobilizzati da disperazione, frustrazione, paura, i popoli della Terra Santa ricordano il paralitico incapace di raggiungere la piscina di Betesda. Allora come adesso, la domanda è la medesima: “Vuoi guarire?”. Fa effetto condividere tali riflessioni con Yusuf Daher mentre si cammina nel luogo dove ci sono i resti di quel bacino le cui acque erano ritenute salvifiche dagli ebrei dell’antichità. “Siamo tutti chiamati a trovare la forza di sollevarci dal nostro sfinimento collettivo e individuare una strada collettiva”, afferma l’attivista per la pace, impegnato nel dialogo ecumenico con il World council of Churches e esponente del “Gruppo di riflessione cristiana”, creato dal patriarca emerito Michel Sabbah. Il think-tank di una decina di pensatori ha lanciato un coraggioso appello a “mantenere viva la speranza”. Parola quest’ultima che sembra stridere con la realtà di oltre un anno di guerra, la più lunga nella storia di Israele.

Il testo, però, è tutt’altro che ingenuo. “La speranza concreta di una pace duratura per la regione richiede di uscire dai soliti schemi e immaginare una soluzione nuova. Fondata sull’uguaglianza fra tutti gli esseri umani che abitano la terra fra il Giordano e il mare”, sottolinea Daher. “La tragedia del 7 ottobre rivela che la sola forza militare, l’impiego delle tecnologie più sofisticate, non possono garantire la sicurezza di Israele. Occorre, dunque, un accordo di pace definitivo fondato sul riconoscimento di pari diritti per tutti. Accadrà come è accaduto in altre aree turbolente del mondo, a partire dall’Europa prima del 1945. Quanto altro tempo e sangue vogliamo sprecare ancora?”. Alla maturazione di una consapevolezza condivisa, i cristiani possono e devono dare un contributo determinante. “La nostra fede ci rende portavoce di una terra senza muri, senza discriminazioni, portavoce di una terra di uguaglianza e libertà per tutti, per un futuro in cui possiamo vivere insieme”, si legge nella lettera. Questo richiede, però – conclude Deher – l’impegno a lavorare oltre la comunità, camminando insieme a musulmani e ebrei verso un orizzonte che è la pace. E’ possibile.

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