C’è chi è rimasto nascosto per quaranta ore sotto al letto nella propria stanza, riuscendo a non farsi trovare dai miliziani islamisti. Chi, ancora, si è rifugiato insieme a un ferito in un varco apertosi nel soffitto di una sala, crollato. Sono quelli che sono fuggiti e sono riusciti a raccontare. Loro ce l’hanno fatta. «Ma penso che di gente nascosta ce ne sia ancora», osserva un sopravvissuto. Perché tali si sentono, sopravvissuti, coloro che per miracolo sono scampati a due giorni di incubo nel deserto.Non si sa quanti altri si stiano tuttora nascondendo, quanti invece siano ancora tenuti in ostaggio con un mitra spianato davanti e una cintura esplosiva al collo bruscamente imposta dai terroristi islamici. L’unica certezza è che l’incubo non è finito. Sono passati due giorni dall’attacco delle forze algerine contro un convoglio di jihadisti in fuga dall’impianto del trattamento del gas di In Amenas, tre giorni da quando il commando ha attaccato il sito di Bp, Statoil e Sonatrach, e la crisi continua, con i terroristi che restano asserragliati in un edificio del complesso. Sarebbero una trentina gli ostaggi ancora nelle loro mani, almeno sette dei quali stranieri (tre belgi, due statunitensi, un giapponese ed un britannico), ma certezze non ce ne sono. Qualcuno potrebbe essere morto, qualcun altro nascosto all’interno dell’immenso impianto. Per ora sarebbero circa 680 gli ostaggi tornati liberi, per lo più algerini e un centinaio di stranieri. I militari algerini si trovano ormai all’interno del complesso e assediano i terroristi, sferrando sporadici attacchi, anche se il governo ha assicurato di voler cercare una «soluzione pacifica». Uno degli estremisti sarebbe stato catturato dalle forze di sicurezza e sottoposto a interrogatorio: il terrorista avrebbe affermato che il gruppo iniziale dei rapitori era composto da 32 persone.Intanto il commando jihadista ha dettato le sue condizioni per liberare gli ostaggi. L’agenzia mauritana
Ani ha anticipato che il leader qaedista Mohktar Belmokhtar, autodefinitosi come l’ispiratore del sequestro, diffonderà un video in cui chiede che «Francia e Algeria negozino la fine della guerra condotta da Parigi nel nord del Mali». L’altra richiesta del gruppo che si fa chiamare «Battaglione di sangue» riguarda il rilascio di due superterroristi in carcere negli Stati Uniti. Si tratta di Aafia Siddiqui, una militante pachistana estradata nel 2008 negli Usa, e Omar Abdel-Rahman, lo «sceicco cieco» egiziano che sta scontando l’ergastolo in Colorado ed è considerato il capo del gruppo estremista al-Jamaa al-Islamiyya. In cambio della loro scarcerazione verrebbero rilasciati due ostaggi americani. I qaedisti hanno anche minacciato nuovi attacchi: «Il gruppo denominato Battaglione di sangue – riferisce l’agenzia
Ani – ha intimato agli algerini di tenersi a distanza dalle installazioni di compagnie straniere, che verranno colpite quando e dove meno lo si aspetti».Il blitz attuato giovedì dalle forze di sicurezza algerine ha causato rabbia in molti governi non informati preventivamente. In mancanza di fonti giornalistiche indipendenti sul posto restano incerte le cifre sul bilancio delle vittime, ma
al-Jazeera ha riferito di trenta ostaggi morti nel blitz (sette dei quali stranieri), mentre l’agenzia di stampa algerina
Aps parla di dodici vittime tra gli ostaggi (sia algerini che stranieri) e diciotto terroristi uccisi.Algeri ha sottolineato che l’operazione condotta al sito ha permesso di salvare centinaia di ostaggi evitando in questo modo un disastro peggiore. Proteste sono però giunte da Usa, Gran Bretagna, Norvegia e Giappone. Washington, peraltro, ha respinto ogni richiesta di negoziato con i terroristi. Hillary Clinton ha parlato di nuovo con il premier algerino Abdelmalek Sellal per coordinare gli sforzi sulla situazione: «Siamo profondamente preoccupati per coloro che ancora sono in pericolo», ha ammesso il segretario di Stato Usa. Londra, da parte sua, ha inviato ad Algeri una squadra di analisti di intelligence per contribuire al buon esito della vicenda. Se buon esito vi sarà, visto che 72 ore di negoziati, sangue e terrore finora non sono bastati.