Da quale età la madre può iniziare a stimolare il linguaggio del proprio figlio? «Fin dalla 23a settimana di gravidanza, quando si sviluppa l’orecchio, cantando e battendo il ritmo con la mano sulla pancia, parlando con il bambino e ascoltando musica, di qualsiasi tipo». È una delle domande a cui risponde la logopedista pediatrica Silvia Lusetti, che nel 2002 ha aperto il portale www.logopedista.it, forum online con oltre 30 mila partecipanti. Dal 2020 ha iniziato la divulgazione scientifica sui social network, dove ha raggiunto oltre 200 mila follower.
Nel volume “Dai, giochiamo a parlare. strategie, giochi e canzoncine per stimolare il linguaggio”, edito da Sperling & Kupfer, in cui sintetizza la sua esperienza nell’accompagnamento di migliaia di genitori ed educatori nello sviluppo del linguaggio dei bambini. «Ho ideato e scritto questo libro per quella mamma o quel papà che, tra il bagnetto e la nanna, desiderano trovare un gioco da fare con il proprio bimbo o una canzoncina da intonare; per chi è curioso di scoprire come funziona il linguaggio; per chi ha un figlio che ancora non parla o pronuncia male tante paroline; per l’insegnante che, in classe, cerca idee e spunti per stimolare il linguaggio dei propri bambini», spiega l’esperta, che si occupa di linguaggio da oltre 20 anni.
Da dove partire? «Giocare insieme. È certamente un consiglio poco originale, ma rimane l’alleato principale per favorire la crescita del tuo bambino in diversi aspetti. Da molti anni, ormai, è noto che per i bambini il gioco è il modo privilegiato di apprendimento, in particolare del linguaggio; la lente attraverso cui sperimentano e scoprono il mondo, sviluppando le competenze motorie, relazionali, cognitive e linguistiche. Il ruolo dei genitori è dunque fondamentale, perché nessuno conosce il proprio figlio come loro. Ecco, quindi, che mamma e papà sono la migliore risorsa, la strategia più efficace, lo strumento più utile, il modello verbale da imitare».
Infatti «lo sviluppo del linguaggio e dell’intelligenza nei primi 6 anni di vita è incredibile. I bambini sono come spugne, e assorbono tutto ciò che sentono, vedono e sperimentano. Stimolare il linguaggio attraverso il gioco, passo dopo passo, svilupperà l’intelligenza, la relazione». Perché è proprio la relazione «l’aspetto più importante per lo sviluppo del linguaggio». Infatti «un bambino immerso in un ambiente comunicativo e relazionale linguisticamente stimolante sarà avvantaggiato nell’apprendimento del linguaggio. Ciò non significa fargli sentire qualcuno che parla alla televisione o sullo smartphone, perché s’impara a parlare con qualcuno». Però è fondamentale anche l’ascolto, e non solo quello verbale. «La comunicazione, soprattutto nel primo anno di vita, avviene in tanti modi: con i gesti, con il corpo, con un’espressione, con un vocalizzo».
Alcune strategie per far imparare nuovi vocaboli? Quella del 3x, ad esempio: «Quando si nominano le cose, è importante ripetere almeno tre volte la parola perché si fissi più facilmente nella memoria verbale del bambino. La parola deve essere ripetuta in tre frasi diverse». Altri consigli preziosi: usare «parole semplici, non modificate o storpiate. Nei primi due anni, il bambino ricorda principalmente la parte finale della parola, perciò usare nelle frasi molti vezzeggiativi e diminutivi lo confonderà moltissimo nella produzione verbale, perché ricorderà solo -ino, -etta, tralasciando la prima parte della parola».
Poi è utile pronunciare «frasi semplici di 2-3 parole combinate tra loro (“Metti il cappello”, “Apri la porta”, “Mmm, è buono il biscotto!”)». Bisogna sempre evitare raffronti con altri bambini: «Lo sviluppo linguistico di ciascuno procede a velocità diverse, a seconda del patrimonio genetico, degli stimoli esterni, degli interessi e del sesso. Generalmente, le femmine parlano prima dei maschi. Fare confronti con gli amichetti o i fratelli genera frustrazione e ansia nei genitori e nel bambino. Ciò non significa aspettare che parli, ma occuparsi di un eventuale ritardo o difficoltà, per capire se sia il caso di approfondire con uno specialista».
Inoltre occorre vietare categoricamente l’uso di dispositivi elettronici: «Il cellulare viene dato al bambino dai genitori per distrarlo o calmarlo, come un ciuccio digitale; è utilizzato al momento dei pasti e spesso sostituisce la coccola o la lettura prima di dormire. Al di sotto dei 2 anni lo sviluppo cerebrale non è ancora completo, anzi, è in pieno divenire, e lo stesso vale per i processi neuropsicologici che includono la personalità, l’attenzione, il linguaggio e la regolazione emozionale.
L’utilizzo precoce e prolungato di dispositivi elettronici può comportare gravi conseguenze, in particolare ritardi di linguaggio e disturbi cognitivi. Davanti a uno schermo, non abbiamo bisogno di comunicare e di confrontarci – ciò che sta alla base del linguaggio –, per cui lo scambio tra due persone, soprattutto tra un bambino piccolo e il genitore, si riduce». Senza demonizzare l’uso di smartphone, tablet e internet, «è indispensabile porre dei limiti all’utilizzo e alla fascia d’età per potervi accedere. Secondo le linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità), 0-2 anni nessun utilizzo; 2-5 anni un’ora al giorno, al massimo; 5-8 anni: due ore al giorno, al massimo».
La logopedista continua: «Cantare è un modo privilegiato per imparare e automatizzare suoni e parole. Perciò, con l’aiuto di mia figlia Beatrice di 8 anni, ho inventato tante canzoncine per imparare a pronunciare i fonemi, stimolare la lallazione e le prime parole attraverso i suoni onomatopeici e le routine quotidiane, favorire l’espansione della frase. Ogni canzone è originale, pensata utilizzando parole con il target fonemico e rispettando tutte le strategie migliori per stimolare il linguaggio, sulla base di melodie semplici e conosciute». Attraverso i Qr Code che diventano risorse multimediali, si possono guardare e cantare insieme ai bambini «le canzoncine dei fonemi e delle routine quotidiane».
Lusetti propone tanti giochi suddivisi per fasce di età e per tipologia – dalla palla agli animali, dai bambolotti alle costruzioni, dai colori ai libri –, oltre alle flashcard da ritagliare e plastificare per allenare la pronuncia dei fonemi e imparare parole nuove. L’ultimo capitolo è dedicato ai 10 dubbi frequenti nella maggioranza dei genitori, «le domande che quotidianamente mi vengono rivolte sui canali social dalle mamme e dai papà dei bambini che seguo in studio». Paure e difficoltà, quindi, sono condivise.