Se per un figlio di separati e/o divorziati conservare un rapporto sereno con entrambi i genitori significa vivere in modo positivo ed equilibrato grazie al sostegno che, malgrado tutto, continuano ad assicurare mamma e papà, i figli dei separati italiani sono tra i più infelici in Europa. Si tratta dei risultati di una ricerca europea che prendono come parametro di valutazione un elemento oggettivo, e cioè l’affido condiviso “equo”, che in Italia sarebbe vissuto in meno del 5 per cento delle coppie. Proviamo a spiegare. I genitori che, in sede di separazione, accettano e - nel migliore dei casi – richiedono congiuntamente l’affido condiviso o congiunto, hanno sulla carta le migliori intenzioni per continuare ad occuparsi in modo positivo e concreto dell’educazione dei figli. Sulla carta, beninteso. Perché capita molto spesso che, nonostante l’affido condiviso venga deciso dal giudice, la corresponsabilità educativa non si realizzi per tanti motivi, non escluso l’ostruzionismo di uno dei due.
Abbiamo più volte sottolineato che per tradurre l’affido condiviso in buone prassi educative, non è sufficiente la firma di un giudice, ma servono protocolli d’intensa sottoscritti al momento della separazione in cui vengano indicati in modo dettagliato impegni, orari, compiti da assolvere da parte dell’una e dell’altro. In alcuni tribunali questa “carta delle buone pratiche” è diventata un punto fermo, in altri – la maggioranza, e questa ricerca lo dimostra – ci si affida ancora a propositi e ammonizioni verbali che poi ciascuno rispetta quando e come vuole. L’affido è quindi formalmente condiviso, ma non è “equo”. In questo caso l’aggettivo è più importante del sostantivo. Perché solo se “equo”, cioè davvero strutturato per assicurare ad entrambi i genitori pari diritti e pari doveri, l’affido condiviso funziona.
Secondo parametri ormai largamente accettati, l’affidamento congiunto può essere considerato “equo” se i bambini passano 15 notti al mese con un genitore e 15 con l’altro, non equo quando i bambini trascorrono da 10 a 14 notti al mese con un genitore (e da 16 a 20 notti al mese con l'altro), mentre si parla di affidamento esclusivo quando il minore passa più di 20 notti al mese con un genitore.
Lo studio Joint physical custody of children in Europe che ha visto la collaborazione di docenti dell'Università di Turku in Finlandia e del Wisconsin-Madison, pubblicato da Demographic Research e basato su un campione di 9.102 bambini provenienti da 17 Paesi europei, mostra che il 12,5% dei minori in famiglie separate vive in accordi d’affidamento congiunto “equo”, l'8,2% vive in accordi di affidamento congiunto “non equo” e il 79,3% vive nella soluzione più tradizionale dell’affidamento esclusivo.
E qui arriviamo alla situazione dell’Italia che, secondo questo studio, risulta essere uno dei Paesi in cui la genitorialità condivisa è meno diffusa. Il nostro Paese risulta tra i nove Stati (insieme a Repubblica Ceca, Ungheria, Lituania, Romania, Cipro, Austria, Croazia e Grecia) dove l’affidamento congiunto “equo” non raggiunge nemmeno il 5% (siamo infatti solo al 2,6%) mentre quello “non equo” avviene nel 3,5%. Tradotto, vuol dire che il 94,5% dei bambini italiani figli di separati – nonostante la legge del 2006 - vive in una situazione di affidamento esclusivo sostanziale e trascorre gran parte del tempo con un genitore a discapito dell’altro. Cioè tutte le premesse peggiori per un alto tasso di conflittualità dei genitori e, all'opposto, un basso livello di felicità dei bambini.
Fino a vent’anni fa, al momento della separazione, i bambini venivano affidati quasi d’ufficio alle madri. In Italia capitava nel 98 per cento dei casi. Ma anche in altri Paesi europei la percentuale non era molto diversa. L’affido esclusivo alla mamma lasciava ai papà un numero limitato di visite programmate. Poi si è fatta strada l’esigenza di una genitorialità condivisa come soluzione capace di offrire risultati positivi per bambini e genitori. Da una parte una migliore collaborazione genitoriale e una decrescita del conflitto familiare, dall’altra un miglior benessere socio-emotivo e psicologico dei minori, oltre a livelli inferiori di stress. In Italia questo diritto è assicurato dalla legge 54 del 2006 che garantisce al bambino di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore. Ma, come visto, si tratta di un diritto che è rimasto nel grande campo delle buone intenzioni.
“In Italia, nonostante qualche segnale di miglioramento, la custodia congiunta dei figli è una strada ancora troppo poco percorsa – racconta Vittorio Vaccaro, conduttore televisivo e da sempre vicino alle tematiche riguardanti la famiglia – In parte la causa va ricercata in retaggi culturali che vedono ancora la mamma come prima responsabile della crescita di un minore. Se da questo punto di vista stiamo migliorando, ci sono altri problemi da superare come ad esempio il salary gap tra uomini e donne. Anche le istituzioni possono fare la loro parte con leggi che incentivino l’affidamento congiunto”.
I dati che riguardano l’Italia vedono l’affidamento congiunto (equo e non) aumentare con l’avanzare dell’età dei minori fino a raggiungere il 9,2% nella fascia 16-17 anni mentre è decisamente basso (2,6%) per la fascia 0-5. In Europa il Paese dove l’affidamento congiunto equo è maggiormente diffuso è la Svezia. Nel Paese scandinavo è praticato nel 42,5% dei casi seguono i vicini di casa della Finlandia (23,8%) e il Belgio (19,6%). Buoni risultati anche per Slovenia, Danimarca, Spagna e Francia tutti sopra il 10%. L’affidamento congiunto non equo è, invece, particolarmente diffuso in Danimarca (26,2%) seguita da Svezia (11,2%), Slovenia (11,1%) e Belgio (10,7%). In generale, i Paesi con bassi livelli di genitorialità congiunta equa hanno anche livelli relativamente bassi di genitorialità congiunta non equa: i 9 paesi, tra cui l’Italia, con il 5% o meno di genitorialità condivisa equa sono tutti tra gli 11 paesi con i livelli più bassi di genitorialità condivisa non equa. In ogni caso, in tutti i paesi analizzati, tranne la Svezia, l’affidamento esclusivo continua a rimanere la strada più percorsa, in modo particolare in paesi come Grecia, Italia, Lituania, Romania, Croazia e Ungheria.
Il quadro che emerge vede la genitorialità condivisa crescere in Europa e, secondo gli ultimi dati analizzati, riguarda il 13% dei bambini di età compresa tra gli 11 e i 15 anni che non vivono con entrambi i genitori rispetto al 5,7% del periodo 2002-2010. Una crescita che ha coinvolto tutti i Paesi tranne – purtroppo - Italia e Ungheria.
“Il focus deve essere sempre il benessere dei figli – prosegue Vittorio Vaccaro – Ad esempio se i due genitori vivono in città diverse l’affidamento congiunto non può essere una soluzione, vorrebbe dire stravolgere la vita del bambino. Da padre separato, però, posso confermare che, quando possibile, la genitorialità condivisa è la strada migliore. Richiede sicuramente tanto impegno da parte dei genitori, ma garantisce la serenità dei figli”.
Ecco allora – secondo Vittorio Vaccaro - 5 consigli per rendere la genitorialità condivisa davvero efficace.
Collaborare e comunicare: anche se un divorzio può aver causato attriti in una coppia, quando si parla dei figli bisogna essere in grado di mettere da parte i rancori. Immaginate l’ex partner come un collega di lavoro poco simpatico ma con cui dovete per forza parlare e collaborare per raggiungere l’obiettivo che, in questo caso, è il benessere dei figli.
Essere coerenti: i figli minori vanno guidati anche attraverso regole e indicazioni. Se a casa della mamma è concessa un’ora di videogiochi, dal papà non possono diventare tre. È importante stabilire linee guida che siano comuni per entrambi i genitori in modo che i figli sappiano sempre che strada prendere.
Flessibilità: la rigidità non aiuta né quando è rivolta all’ex partner, né quando è nei confronti dei figli. I genitori devono essere pronti ad adattarsi alle esigenze dei figli, soprattutto nei primi tempi quando i minori si trovano davanti a una situazione completamente nuova.
Non avere segreti: se uno dei due genitori inizia una nuova relazione, tenerla a lungo nascosto potrebbe essere controproducente. Il figlio, a seconda dell’età, potrebbe vederla come una mancanza di fiducia. Quando si è sicuri di avere una relazione stabile conviene spiegare la situazione all’ex partner e successivamente introdurre l’argomento con i figli.
Non vergognarsi di chiedere aiuto: un mediatore familiare può aiutare i genitori nelle prime fasi di affidamento congiunto. Rivolgersi a un esperto è un’opportunità da prendere in considerazione per trovare soluzioni che siano nel migliore interesse dei figli.