martedì 11 giugno 2024
I consigli degli psicoterapeuti Monica Rebuffo e Alberto Rossetti: padri e madri vivono con il terrore di non essere buoni genitori e si illudono di controllare i ragazzi con lo smart phone. Errore!
«Figli adolescenti, quanto ci fa paura la loro libertà»
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La libertà è il grande dilemma di ogni genitore con un figlio adolescente. Basta parlare, in una qualsiasi riunione di famiglie, di permessi di uscite serali e/o vacanze di gruppo, ma anche di opportunità di controllo dei profili social e di app per la localizzazione dei ragazzi per averne un’epifania. In tutti i Paesi occidentali il trend è simile: secondo una ricerca recente del Pew Research Center, dedicata alla transizione verso l’età adulta dei giovani americani, un genitore su quattro traccia la posizione dei figli fino ai 24 anni (“anche se solo raramente”, specificano). Ma questa protezione genitoriale “a oltranza”, d’altra parte, non sembra portare maggior benessere: secondo la ricerca “Child and adolescent mental health” dell’Unicef, tra le persone di età compresa tra i 15 e i 19 anni, circa l'8% soffre di ansia e il 4% di depressione.

Vale allora la pena di domandarsi quanta paura faccia, agli adulti, quello “spazio aperto” di possibilità che un adolescente si trova ad esplorare. E come sia difficile, per una mamma e un papà, definire confini e seguire con discrezione e apertura i tentativi e gli inevitabili sbagli, oltre alle conquiste, dei propri ragazzi. Di libertà, di crescita e di sfide genitoriali parlano due volumi, editi da San Paolo, che affrontano l’argomento da prospettive differenti: Viva la libertà di Alberto Rossetti, psicoterapeuta di formazione psicoanalitica, e Genitori si diventa ascoltando i figli, di Monica Rebuffo, psicoterapeuta esperta di famiglia.

Alberto Rossetti, nel suo libro è messo ben in evidenza che oggi viviamo un paradosso educativo: l’adultizzazione dei bambini e l’infantilizzazione dei ragazzi. Quali sono gli atteggiamenti genitoriali che portano a questo risultato e come possiamo invertire in qualche modo la rotta?

Rossetti: I bambini hanno oggi delle agende piene di impegni, come fossero dei piccoli adulti, e si chiede loro con troppa facilità di smettere di giocare e impegnarsi maggiormente per onorare tutti questi impegni. Al contrario, gli adolescenti passano tanto, troppo tempo, in casa, hanno pochi spazi di libertà all’esterno e quando sono in giro, o a scuola, vengono “controllati” passo passo. Il risultato è che i bambini e gli adolescenti crescono con l’idea di essere unici, talentuosi e sempre protetti dalla propria famiglia e in questo modo diventa per loro più difficile entrare in relazione all’altro, vivere nella società, mettersi in discussione.

Monica Rebuffo, nel suo libro invece colpisce il messaggio fondativo riguardante la felicità dell’essere genitori. Ce la dimentichiamo davvero, oggi, anche con noi stessi, e tendiamo a impostare una narrativa di sacrificio. Non le sembra che sia un po’ lo storytelling “tossico” che accomuna questa nostra epoca?

Rebuffo: Sì, effettivamente siamo inseriti, senza esserne completamente consapevoli, in una narrazione prestazionale, secondo la quale noi siamo quello che facciamo e che raggiungiamo. Anche gli adulti, proprio come gli adolescenti, rischiano di rimanere incastrati nelle aspettative attivate da una comunicazione dove tutto si misura in termini di risultati e di immagine. Questo stile ci precipita in un atteggiamento individualistico, difensivo e giustificatorio. Quindi, il nostro criticare e lamentarci, corrisponde ad esprimere verbalmente la nostra paura di essere inadeguati e di fallire come genitori. Ed ecco che, senza accorgercene, perdiamo il nostro ruolo di educatori, che ci vorrebbe allenatori e non giudici dei nostri ragazzi. In realtà, per essere efficaci, dovremmo insegnare ai nostri figli ad essere felici per ciò che sono oggi, stimolandoli sempre e comunque alla crescita e al miglioramento.

Ci sono stati eventi storici o sociali che hanno segnato l’approccio educativo delle ultime generazioni, cambiando drasticamente il modo in cui ci si rapporta ai figli?

Rossetti: Probabilmente il passaggio da una famiglia relazionale affettiva a una narcisista, dove cioè conta molto di più la soddisfazione del genitore piuttosto che quella del figlio. Gli adulti vivono oggi con terrore il non essere considerati dei buoni educatori e i successi e i fallimenti dei figli sono loro prima ancora che dei bambini e ragazzi. Negli ultimi anni è scomparsa la comunità educante e il peso educativo è stato demandato totalmente alle famiglie, mentre sarebbe più corretto tornare a condividerlo all’interno della comunità. Il Covid, poi, ha dato il colpo di grazia a questo cambiamento che era già in corso.

Dottoressa Rebuffo, il suo testo è organizzato indicando, per fasce d’età, i “compiti” del figlio e quelli del genitore, oltre ai permessi di crescita, altro passaggio fondamentale per la libertà: è evidente anche che questa libertà si costruisce come una tela paziente fin dall’infanzia. È un’impresa che a volte pare difficile: se concedo troppo, cresco un tiranno, se concedo troppo poco, lo anniento. Come se ne esce?

Rebuffo: Dobbiamo prendere coscienza del fatto che il percorso di crescita è di entrambi: noi diamo i natali ai nostri figli e loro li danno a noi come genitori! In ogni stadio evolutivo ci sono bisogni da smarcare per crescere e perché questo avvenga i figli e i genitori devono lavorare insieme, ognuno coi propri compiti: i figli devono imparare ad abitare la crescita, i genitori devono facilitarli e allenarli. In realtà, la vera “parte speciale” di questo percorso è la relazione, la cooperazione tra genitori e figli. È questo che crea il contatto, la sintonizzazione emotiva, che fa sentire visti (entrambi) e veicola la fiducia (di entrambi). Il confine tra il concedere troppo o troppo poco ce lo dà il figlio, proprio come suggerito dal titolo del libro: Genitori si diventa... ascoltando i figli. E poi si sbaglia … bisogna accettarlo, imparando a coglierne l’utilità!

E qui torniamo al’ansia di controllo e alle aspettative: c’è una sorta di incapacità degli adulti di farsi da parte, che finisce per divorare la libertà dei ragazzi?

Rossetti: Gli adulti oggi sono molto fragili nelle loro insicurezze e passano questa loro fragilità agli adolescenti. Basterebbe questa consapevolezza per mettersi da parte, lasciare fare un po’ di più ai giovani senza temere il loro sbaglio come fosse qualcosa di irrecuperabile. A volte mi capita che alcuni genitori vogliano accompagnare i propri figli adolescenti alle sedute di psicoterapia mentre i ragazzi verrebbero volentieri da soli. Il risultato? Arrivano in ritardo perché la mamma, o il papà, ha preso il bus dal lato opposto oppure ha voluto prendere la macchina e c’era traffico, non fidandosi della capacità del ragazzo di muoversi in bicicletta. Gli adulti devono essere una guida, ovvio, ma devono imparare ad avere più fiducia nei ragazzi e per questo, lo dico sempre, il consiglio è quello di smettere di geolocalizzare i propri figli con lo smartphone. Perdersi è l’unica strada per ritrovarsi.

Il telefono cellulare è senz’altro un elemento capace di imbrigliare la libertà, oltre che mettere in pericolo una crescita sana. Eppure lo smartphone viene regalato sempre più presto, e non sembra spaventare più di tanto i genitori. Forse abbiamo bisogno di una formazione verso il digitale che si rivolga più ai grandi, che ai piccoli?

Rebuffo: Senz’altro l’educazione al digitale è importante per noi adulti/boomer. Ma non credo che il problema sia questo. Il vero punto è che noi facciamo fatica a sintonizzarci emotivamente coi nostri figli. Passiamo dall’identificarci completamente con loro, all’erigerci a consulenti esperti su tutto, pretendendo la loro fedele adesione. Il percorso di crescita è come la costruzione di un puzzle, ogni pezzettino è necessario, ma da solo non sufficiente alla composizione dell’insieme. La delega al cellulare rappresenta la punta dell’iceberg. Sotto ci sono tanti passaggi, che nel mio libro chiamiamo compiti dei genitori e dei figli, che se non sono rispettati, nel susseguirsi degli stadi, producono una immaturità nel figlio e nella relazione col genitore. Ecco perché a un certo punto il genitore, non sapendo più che fare, delega il suo ruolo al cellulare, nascondendosi dietro al concetto che non si può “fermare il progresso” … ma non è questo il punto!

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