L'Irlanda si è allontanata dalla religione come centro della sua identità culturale ma non ha ancora pienamente abbracciato il liberalismo sociale come fede alternativa». È quanto ha scritto nei giorni scorsi Fintan O’Toole, il più noto editorialista dell’Irish Times, commentando i dati del World Happiness Report 2019, il rapporto sulla felicità che colloca l’Irlanda al sedicesimo posto a livello mondiale. Difficile pensare che l’analisi di O’Toole non colga nel segno ancora una volta.
Dopo la gravissima crisi del 2008, negli ultimi anni l’Irlanda ha vissuto un’importante ripresa economica che ha ridato ossigeno al debole governo di minoranza guidato dal premier Leo Varadkar. Il leader dei cristiano-democratici del Fine Gael è riuscito a tenere in piedi una fragile maggioranza grazie alla costante crescita del Pil (7,8% nel 2017), a una disoccupazione che sta per scendere al di sotto del 5% ma anche spingendo l’acceleratore sulle riforme sociali. Al costo di perdere quasi del tutto la propria identità di Paese dai forti valori cattolici.
Dopo il riconoscimento dei matrimoni omosessuali nel 2015 la svolta “liberal” di Dublino ha raggiunto l’apice appena un anno fa, con lo storico referendum che ha legalizzato l’aborto. Ma la corsa sembra non essersi ancora interrotta, poiché all’Election Day di venerdì 24 maggio gli irlandesi saranno chiamati al voto per il rinnovo del Parlamento Europeo e dei consigli municipali ma dovranno esprimersi anche su un nuovo referendum, che stavolta ha l’obiettivo di dimezzare i tempi del divorzio. Secondo le previsioni questa nuova consultazione referendaria – dall’esito che appare scontato – alzerà ulteriormente l’affluenza alle elezioni europee, con percentuali che in passato hanno già visto l’Irlanda attestarsi ben al di sopra della media europea (il 52,44% nel 2014). Stavolta a contendersi gli undici seggi in palio ci sono 59 candidati suddivisi in tre circoscrizioni: 19 a Dublino, 17 nel collegio elettorale Midlands nord ovest e 23 nel sud. Ma con l’uscita del Regno Unito dall’Ue e la conseguente redistribuzione dei seggi l’Irlanda dovrebbe ottenerne altri due, arrivando quindi a un totale di tredici eurodeputati. Saranno tutti eletti con il metodo del voto singolo trasferibile, un sistema elettorale che ha effetti proporzionali ma permette la riconoscibilità dei candidati come se fosse un maggioritario puro.
Più volte in passato l’anziano presidente della Repubblica, il socialista Michael D. Higgins, ha criticato Bruxelles per un modello economico che, a suo dire, indebolisce la coesione sociale tra gli Stati membri, ma alcuni giorni fa anche lui non ha esitato a mettere in guardia contro le «forze sociali negative che stanno seminando incertezza in tutto il Continente» e ha fatto appello agli irlandesi «affinché colgano l’opportunità delle elezioni europee per riscoprire i valori fondanti dell’Unione». L’Irlanda è storicamente uno dei Paesi più europeisti. Secondo gli ultimi sondaggi condotti da Eurobarometro, il 91% degli irlandesi ha piena fiducia nell’Ue e afferma che il paese continuerà a ottenere grandi benefici da Bruxelles. Una popolazione fieramente europeista, dunque, a patto però di non vedere messa in dubbio una tradizione neutralista consolidata fin dai tempi del Secondo conflitto mondiale. Non a caso l’Irlanda è una delle nazioni che finora si sono rifiutate di aderire al Pesco, la cooperazione strutturata permanente, e le preoccupazioni relative al futuro della politica estera Ue emergono in quasi tutti i programmi dei candidati irlandesi alle europee. Ma a tenere banco davvero, in questa tornata elettorale, è il tema dell’ambiente e del cambiamento climatico.
Nei giorni scorsi il Parlamento di Dublino ha dichiarato ufficialmente l’emergenza climatica e il governo ha dato il via libera a un emendamento che conferma la necessità di intraprendere azioni urgenti per ridurre il riscaldamento globale e preservare la biodiversità. Un tema che l’ex viceministro dell’ambiente Ciarán Cuffe, in corsa con i Verdi nella circoscrizione di Dublino, cavalca da settimane. La campagna elettorale è stata dominata anche dal dibattito sul prossimo bilancio dell’Unione e sul sostegno agli agricoltori: il timore espresso da molti candidati è che a causa della Brexit la prossima legislatura veda un drastico taglio degli aiuti ai produttori agricoli. Invece il tema dei migranti, dominante in altre parti d’Europa, non ha trovato qui un terreno molto fertile. Se si eccettuano l’indipendente Hermann Kelly e l’ex giornalista Gemma O’Doherty, che guida il movimento Anti-Corruption Ireland, nei dibattiti elettorali quasi nessuno ha espresso posizioni apertamente contrarie all’immigrazione. Le critiche più decise nei confronti dell’Ue sono arrivate da sinistra, dai socialisti radicali di People Before Profit e dai candidati del movimento Independents4Change. Negli ultimi tempi il tradizionale euroscetticismo dei repubblicani dello Sinn Féin si è invece affievolito in seguito al sostegno della campagna per il “Remain”. Un elemento che dovrebbe favorire la conferma di una figura di spicco del partito come Lynn Boylan, l’unica candidata che corre per conservare il suo seggio dopo essere risultata campione di preferenze nel 2014. Si collocano invece saldamente nel fronte europeista i due partiti più rappresentativi del Paese, Fine Gael e Fianna Fáil. Il primo punta tutto sulla candidatura dell’ex vicepremier Frances Fitzgerald, enfaticamente definita dall’attuale primo ministro Varadkar «la donna che ha trasformato l’Irlanda in un Paese moderno». Al suo fianco correrà nella circoscrizione di Dublino il socialdemocratico del nord Mark Durkan, ex ministro delle finanze ed ex parlamentare a Westminster.
Il candidato di punta del Fianna Fáil è invece l’ex ministro dell’infanzia Barry Andrews, al quale è stato affidato il compito di tirar su le sorti del partito dopo i recenti fallimenti elettorali. Secondo gli ultimi sondaggi il Fine Gael, il partito del premier Varadkar aderente al Ppe, è dato intorno al 31% e appare dunque in crescita rispetto alle politiche del 2016. Stabile il Fianna Fail (25%), in discesa invece la sinistra dello Sinn Féin, che dopo essere cresciuta fino oltre il 20%, negli scorsi mesi sembra essere tornata ai livelli di due anni fa. In ulteriore discesa, infine, i laburisti fermi intorno al 5%).