Manifestazione ambientalista davanti al Parlamento Europeo (Ansa)
C’è chi ha già parlato di “effetto Greta”. Più che il dilagare dei sovranisti, la notte delle elezioni europee 2019 vede due fenomeni rilevanti, che non è sbagliato probabilmente attribuire al voto dei giovani, molti dei quali ogni venerdì si mobilitano nelle piazze continentali sull’esempio della sedicenne svedese. In primo luogo, l’aumento, imprevisto, dell’affluenza alle urne, con un provvisorio 51% su base continentale, un dato che riporta a vent’anni fa e che inverte una tendenza al disinteresse verso le urne Ue che proseguiva da tempo. In secondo luogo, l’affermazione dei Verdi, dalla Germania all’Irlanda fino alla Francia, con un travaso di voti dalla sinistra socialista o laburista e un cambio di focus, dalla questione sociale a quella ecologista.
Detto questo, aumenta la frammentazione dell’emiciclo di Strasburgo. Calano, non in modo drammatico e secondo le previsioni, i popolari, che cedono voti in Germania, dove Cdu/Csu resta primo partito ma non può esultare del suo 28%, peggiore risultato degli ultimi anni. S&D, i socialisti, arretrano più vistosamente, con l’eccezione “latina” di Spagna, Portogallo e anche Italia (rispetto alle attese, anche se il Pd porterà meno deputati rispetto al 2014). I liberali diventano terza forza grazie all’apporto del partito di Macron “En Marche”, che potrebbe pareggiare i seggi con il Rn di Marine Le Pen. In Francia però pesa il sorpasso, di misura, degli euroscettici di destra sulla formazione del presidente.
I sovranisti non sfondano, anche se hanno punte di forza che è difficile sottovalutare. In Francia, Le Pen, come visto, arriva in vetta; in Italia, la Lega di Salvini è il primo partito; Orbán ha fatto il pieno in Ungheria, andando oltre il 50%. Che due dei Paesi fondatori dell’Europa abbiano premiato formazioni fortemente critiche verso Bruxelles è un elemento con cui fare i conti, anche se in un caso si tratta di un partito di opposizione.
Gli altri partiti dell’internazionale populista, tuttavia, arretrano, come Wilders in Olanda e i nazionalisti danesi. La composizione dei gruppi all’Europarlamento, poi, renderà difficile la saldatura degli eurocritici (al di là della proposta Le Pen di un’unica famiglia), che potrebbero contare su non più di 150 deputati, mettendo insieme i tre raggruppamenti attuali più spostati alla destra dell’Assemblea.
I liberali crescono con l’apporto dei probabili 22 seggi di En Marche di Macron e già si offrono per formare una maggioranza centrista a tre, con popolari e socialisti. Questo potrebbe essere l’esito delle trattative, non facili, per individuare i candidati alle cariche più importanti dell’Unione. Sfuma del tutto l’ipotesi di un’alleanza tra popolari e sovranisti, che a caldo Manfred Weber ha comunque escluso.
La notte del voto consegna un quadro sufficientemente confortante di un’Europa più partecipe e impegnata, che non è davvero tentata dal sovranismo. A livello istituzionale, le cose saranno più complicate e la partita per la nuova Commissione sarà certamente lunga e complessa.