
Una lezione alla Busch School of Business della Catholic University of America di Washington - Busch School of Business
Occuparsi di economia civile significa, innanzitutto, domandarsi come ciascuna delle tante sfere che compongono la società civile possa contribuire allo sviluppo della persona umana. Significa, in breve, comprendere che l’attore protagonista dell’attività economica, nel rispetto del principio di poliarchia, enunciato da Benedetto XVI, e dello sturziano principio di plurarchia, è rinvenibile nelle tante realtà che popolano la società civile. Una di queste realtà che concorrono, quota parte, allo sviluppo della persona e, di conseguenza, al bene comune, è il mondo della formazione universitaria. Lì dove la comunità accademica, nella sua interezza, collabora per realizzare e offrire un insieme di servizi che, almeno nelle intenzioni, si prefiggono lo scopo contribuire al benessere della persona. È qui che entra in gioco un interessante esperimento, in corso presso la Busch School of Business della Catholic University of America di Washington DC.
Prendendo spunto dalle parole di papa Francesco, pronunciate nella Esortazione Apostolica Evangelii gaudium – « La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita; questo gli permette di servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo» (EG, 203) – si afferma l’importanza civile della vita imprenditoriale e l’esigenza che essa sia accompagnata, oltre che dal punto di vista etico e pastorale, anche da una solida formazione scientifica. Con il presente contributo inauguriamo una breve serie di cinque articoli, nei quali presenteremo alcuni programmi della suddetta School of Business, a partire da altrettante parole chiave offerteci dalla Dottrina sociale della Chiesa.
La Scuola è stata fondata nel 2013, esattamente nell’anno di elezione di papa Francesco, con l’obiettivo di integrare, in termini accademici, la dimensione morale e pastorale, che da tempo ormai accompagna la riflessione della Dottrina sociale della Chiesa sui temi dell’impresa e della vocazione imprenditoriale, con il sapere scientifico nei vari campi della scienza economica, del management e della finanza. Colloquiando con il preside della Scuola, il prof. Andrew Abela, registriamo l’intenzione di contribuire a far emergere e maturare una sensibilità nei confronti del valore civile dell’impresa che, seppur ben presente nei testi del Magistero e della pastorale sociale, non sempre si è tradotta in una consapevolezza condivisa nella vita quotidiana. Il mondo dell’impresa e il mercato sono spesso visti come qualcosa di avulso dal resto della società civile, certo indispensabili, per ovvie ragioni, ma come spesso accade per le cose ritenute necessa non così apprezzati. Ad esempio, crediamo che non si sia riflettuto abbastanza sul ruolo che l’impresa può svolgere nello sviluppo di una società civile meglio disposta e culturalmente più attrezzata ad accogliere i valori di libertà, di responsabilità e di inclusione.
L’impresa, stando alla definizione lasciataci da Giovanni Paolo II, è una comunità di persone che lavorano. È il luogo nel quale possiamo cogliere con chiarezza il formarsi della comunità attraverso l’esercizio di alcune fondamentali virtù: la moderazione, l’umiltà, il rispetto, l’impegno, la creatività a tante altre virtù che compongono la struttura morale che tiene in piedi la persona e che, come proiezione delle sue azioni, sostiene e qualifica la società civile stessa. L’impresa può essere dunque un luogo, sia chiaro, non certo l’unico e neppure il più importante, nel quale e attraverso il quale la persona impara a lavorare con gli altri e per gli altri, in virtù del quale è possibile partecipare a un processo di creazione del valore non meramente economico, pluridimensionale, un valore declinabile al plurale che comprende anche la dimensione del vivere civile.
Comprendere il ruolo civile dell’impresa e accogliere l’invito di papa Francesco a considerare il lavoro imprenditoriale una nobile vocazione, nella misura in cui l’imprenditore, ma anche il dirigente e tutti coloro che interagiscono con l’ente impresa, attribuisce alla propria vocazione un significato che interpella tutti gli aspetti della vita e non unicamente quelli relativi al conto economico, significa anche restituire le discipline economiche al loro retroterra umanistico, dove la letteratura e la filosofia non sono meno importanti della matematica. In breve, significa riconoscere che le scienze umane sono fondamentali anche per la promozione e il mantenimento in buona salute delle istituzioni economiche. Riprendendo una bella espressone di Enzo Di Nuoscio, il quale definisce geni invisibili i contenuti delle scienze umane, in quanto difensori immateriali della cittadella democratica, possiamo affermare che anche l’impresa, in quanto istituzione che nasce da una società aperta, vive ed è sostenuta da una serie di valori intangibili nutriti dalle scienze umane, necessari alla sua sopravvivenza e, con essa, alla salute di una stessa società libera e virtuosa.