
Imagoeconomica
La prima ad entrare nel radar è stata la Groenlandia. Poi è toccato al Canada e, dunque, all’Ucraina. Contingenze politiche a parte, un filo rosso unisce queste terre geograficamente lontane agli occhi della nuova Amministrazione Usa: i minerali critici. Risorse – dal litio al cobalto al nichel – indispensabili per la fine dell’era fossile. Senza non è possibile l’avvio di una transizione energetica che contenga la febbre del pianeta all’interno della soglia di equilibrio di 1,5 – o al massimo 2 – gradi entro la fine del secolo. Facendo seguito al leitmotiv “America first”, Donald Trump appare deciso a mostrare i muscoli per accaparrarsele. In questo ambito, eppure, la cooperazione potrebbe rivelarsi più efficace della competizione. Perché i minerali critici sono abbondanti e, a differenza di petrolio, gas e carbone, utilizzabili più volte. Ne è convinto Daan Walter, fisico olandese con studi ad Amsterdam e Cambridge e responsabile di Ember, centro di ricerca tra i più qualificati sull’analisi strategica del futuro dell’energia.

I minerali critici non sono, dunque, scarsi come spesso si ritiene?
Al contrario, ce ne sono molti. Con le attuali riserve di minerali critici per le batterie potremmo addirittura compiere fino a due o tre intere transizioni energetiche. Le stime, inoltre, vengono costantemente ritoccate verso l’alto. Ora, ad esempio, conosciamo il triplo dei giacimenti di litio rispetto al 2000. E man mano che proseguiamo e miglioriamo la ricerca, ne troveremo sempre di più far fronte alla rapida crescita della domanda.
Eppure è in atto una corsa all’accaparramento globale sempre più feroce…
È così. La rivendicazione di Trump sulla Groenlandia è motivata in gran parte dai minerali critici presenti. Dalle stesse motivazioni derivano le interazioni energich della Cina con i governi del Sud globale per ottenere concessioni minerarie. Ma esiste un’altra strada, molto più conveniente: invece di investire risorse nella conquista di nuovi giacimenti, ci si può concentrare sul riciclo dei minerali critici già in circolazione. Non è mai stata un’opzione per i combustibili fossili, i quali vanno letteralmente in fumo quando vengono impiegati. Paradossalmente questa soluzione potrebbe essere favorita dall’incertezza geopolitica. Più il panorama è instabile, maggiore è la propensione dei Paesi a diventare indipendenti, nei limiti del possibile, dal punto di vista energetico. Poiché non tutti hanno accesso alle riserve, non resterà che riciclare. Un sistema che sta prendendo progressivamente piede. È il caso della maggior parte dell’acciaio e anche di molte batterie. Per queste ultime, in particolare, si sta creando una dinamica interessante tra Nord e Sud del mondo. Milioni di auto dei Paesi ricchi finiscono nel mercato delle compravendite di seconda mano delle nazioni in via di sviluppo. Con le vetture arrivano anche le rispettive batterie le quali, a fine vita, sono preziose per recuperare i minerali. Il Sud del pianeta si troverebbe ad avere, dunque, una merce di scambio in più. Certo, i minerali riciclati hanno un costo un po’ più alto di quelli vergini. Ma se confrontiamo la spesa con le risorse necessarie per l’estrazione mineraria (dai posti di lavoro all’impatto ambien-tale,) alla fine, risultano più convenienti.
Anche dal punto di vista geopolitico?
Il riciclaggio implica – e dunque indirettamente favorisce – la cooperazione internazionale e nuovi tipi di accordi commerciali. Prendiamo il caso del litio: lo si estrae in Cile, viene lavorato in Cina, in Vietnam è trasformato nelle batterie delle auto vendute nell’Ue, le quali poi terminano nel mercato di terza mano nigeriano. Le catene circolari devono, dunque, essere transfrontaliere.
Non c’è il rischio di riproporre per i minerali critici un modello estrattivista, basato cioè sullo sfruttamento selvaggio delle risorse del Sud globale a vantaggio del Nord, simile a quello costruito su petrolio e gas?
La quantità di minerali necessaria per la transizione energetica fino al 2050 è di un ordine di grandezza inferiore al solo carbone prodotto ogni anno. Quindi, anche in un modello estrattivo, la scala totale e l’impatto sarebbero molto inferiori. Attualmente, solo per alimentare la rete di trasporti, estraiamo oltre 2 miliardi di tonnellate di petrolio, con conseguenze enormi per il clima e le comunità coinvolte. Non dico che per ricavare i minerali critici non ci sia un impatto, ma è enormemente ridotto. Se, inoltre, aumentiamo l’efficienza, la circolarità e l’innovazione, riusciremo ad azzerare le nuove estrazioni. Per le batterie potremmo riuscirci già nei prossimi venticinque anni. In questo, la Cina è molto avanti. I produttori stanno realizzando dei tipi più densi dal punto di vista energetico: in ogni chilogrammo ne viene incamerata una maggiore quantità. In questo modo, si richiedono meno minerali per fare lo stesso lavoro. Anche migliorare l’efficienza nella mobilità globale – con una più attenta pianificazione urbana, servizi logistici, incentivi al trasporto pubblico e alla micromobilità elettrica –, dati gli elevati consumi energetici del settore, contribuisce a ridurre la domanda di minerali.
Come coinvolgere le popolazioni locali interessate, spesso scettiche riguardo all’estrazione di minerali critici nei loro territori?
Rendendole davvero parte dell’iniziativa e non solo una categoria da consultare, senza molta convinzione, per dovere burocratico. Offrire posti di lavoro locali, magari anche la comproprietà locale e una partecipazione finanziaria al progetto, può essere di grande aiuto.