mercoledì 28 aprile 2021
Siamo stati tra i leader mondiali nella produzione di elettricità dal calore della terra. Ma è un sistema complesso, lo Stato non lo appoggia più e ci stiamo perdendo questa opportunità
"Inside the Tower", scatto di Fabio Sartori all'interno di una torre di raffreddamento della centrale geotermica "Sasso 2" di Enel Green Power

"Inside the Tower", scatto di Fabio Sartori all'interno di una torre di raffreddamento della centrale geotermica "Sasso 2" di Enel Green Power - Fabio Sartori

COMMENTA E CONDIVIDI

Quando si parla di rinnovabili, almeno in Italia, la geotermia – cioè lo sfruttamento del calore terrestre per produrre energia elettrica o termica – appare ancora piuttosto trascurata. Tra i non addetti ai lavori è praticamente sconosciuta o quasi, specie rispetto ad altri paesi europei con potenziale simile al nostro. Ma se ne discute poco anche in ambito di politiche energetiche nazionali. Eppure avrebbe considerevoli margini di sviluppo, anche solo per le caratteristiche geologiche di diverse aree del nostro territorio, adatte a questo tipo di impianti ma non ancora sfruttate a dovere.

I dati di consumo interno lordo di energia elettrica forniti da Terna (gli ultimi disponibili sul portale dell’azienda risalgono al 2019), sono eloquenti: a fronte di una crescita generale dell’utilizzo delle rinnovabili pari al 1,3% rispetto all’anno precedente, la geotermia ha registrato un calo dello 0,5%. Mentre l’eolico, il fotovoltaico e la bioenergia, sono tutti aumentati.

Per quanto riguarda la produzione invece, e stando ai numeri raccolti dall’Unione geotermica italiana, il contributo della geotermia al totale generato rispetto alle altre rinnovabili è pari al 3,5%, 5,4% se parliamo di produzione elettrica e 2% per quella termica. Ciononostante «l’Italia ha delle risorse straordinarie, in Toscana soprattutto, ma in tutta la zona tirrenica. Fino a non molti anni fa era al quarto posto nella produzione mondiale, ma è rimasta ferma e ora è calata all’ottavo – spiega Adele Manzella, presidente dell’Unione geotermica italiana (Ugi) e prima ricercatrice al Cnr –. Non dimentichiamo che il nostro Paese ha inventato il settore geotermoelettrico e fino alla seconda guerra mondiale eravamo gli unici a produrre energia in questo modo. Come competenze e risorse, quindi, saremmo all’avanguardia. Abbiamo una filiera industriale considerevole dedicata alla geotermia che però adesso lavora quasi sempre fuori. Non c’è uno sviluppo e non per mancanza di capacità, ma perché i progetti sono tutti fermi».




«Come competenze e risorse, saremmo all’avanguardia. Abbiamo una
filiera industriale considerevole dedicata alla geotermia che però
adesso lavora quasi sempre fuori. Non c’è uno sviluppo e non per
mancanza di capacità, ma perché i progetti sono tutti fermi»


In Italia, come detto, l’utilizzo più noto della geotermia è la produzione elettrica, ma occupa uno spazio importante anche l’applicazione termica. Il calore terrestre è estratto e utilizzato soprattutto per la climatizzazione di ambienti, che da sola copre il 52% della produzione nazionale, mentre un altro 32% è destinato alla balneoterapia o a uso termale. Vengono poi l’acquacoltura, l’agricoltura (in particolare per le serre) e altre applicazioni industriali.

Ma quali sono gli svantaggi che rendono così difficile la diffusione della geotermia? Innanzi tutto i costi iniziali: «La geotermia ha il grande problema di richiedere la perforazione di pozzi. Un processo molto oneroso che però viene recuperato dal costo generato durante il ciclo di vita degli impianti – continua Manzella – paragonabile e in alcuni casi inferiore a quello di altre energie. E questo vale sia per la produzione elettrica sia per gli usi termici. Senza contare che la geotermia può andare in produzione con continuità e la resa non dipende da fattori climatici, come la presenza di sole o vento. Un impianto geotermico produce sempre, 24 ore su 24».

A complicare le cose c’è però anche un certo grado di rischio, perché non si può essere certi delle caratteristiche della risorsa che si intende utilizzare prima di arrivarci e si potrebbe aver sovrastimato la resa. Inoltre perforare è un lavoro complesso e può avere importanti impatti ambientali.

Le torri della centrale geotermica di Larderello viste da lontano

Le torri della centrale geotermica di Larderello viste da lontano - CC Birgit Juel Martinsen

Lo Stato non aiuta, non più almeno e per il settore non ci sono più incentivi. La geotermia è stata sostenuta al pari delle altre rinnovabili fino al 2018 (con l’eccezione del fotovoltaico che è stato spinto decisamente di più delle altre). Poi è arrivata la prima grande esclusione con il Fer 1 (il decreto sulle rinnovabili). «Attualmente ancora non si vede la luce del Fer2 in cui, in diversi occasioni, si è detto che assieme alle altre tecnologie innovative e sostenibili sarebbe rientrata anche la geotermia – ragiona ancora la presidente dell’Ugi –. Ma al momento non c’è alcun sostegno incentivante, almeno non per gli impianti destinati alla produzione elettrica. Per il termico ci sarebbero alcuni strumenti di sostegno, ma non sono specifici per la geotermia. Quello che manca, insomma, è il riconoscimento delle sue peculiarità e un sistema di aiuti soprattutto nella fase iniziale. Perché una volta che sono avviati i progetti si tengono perfettamente in piedi in modo autonomo».

Ad aggravare la situazione c’è anche l’esiguo numero di professionisti con le competenze necessarie: «Mancano le condizioni per la crescita – conclude la ricercatrice –. Fondamentalmente parliamo di tecnologie poco conosciute e che richiedono professionalità specifiche. Basti pensare al fatto che un’esco interessata a un’installazione, oltre ad ingegneri e impiantisti, avrebbe bisogno anche di un geologo. Quindi servirebbero anche misure che favoriscano l’acquisizione delle competenze necessarie e facciano conoscere un po’ di più il settore».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI