
Imagoeconomica
Il primo pannello fotovoltaico è stato installato in Italia nel 1979. Negli stessi anni, il governo Cossiga si interrogava sulla possibilità di rendere più autonoma la produzione energetica delle aziende agricole. Il boom degli incentivi all’energia solare risale ai primi anni Duemila, ma si è dovuto aspettare il Pnrr per veder finanziare la messa in opera di pannelli fotovoltaici sui tetti di fabbricati strumentali alle attività agricole e l’installazione di impianti agrivoltaici sui fabbricati agricoli destinati alla produzione aziendale, attraverso la misura chiamata “Parco agrisolare”. Ancora oggi, però, manca un quadro normativo chiaro per quanto riguarda il fotovoltaico a terra.
L’agrifotovoltaico vorrebbe conciliare l’installazione dei pannelli solari e la produzione agricola, senza consumare suolo. Lo rende possibile la tecnica di costruzione degli impianti, ma per il momento è più un desiderio che una evidenza scientifica in quanto l’irraggiamento solare, l’irrigazione e la difesa delle colture sotto un pannello fotovoltaico sono estremamente condizionati: solo alcune coltivazioni e alcune tipologie di allevamenti possono conciliarsi con questi impianti. Non a caso, la crescita di valore degli affitti rurali, legata alla diffusione dei pannelli nelle campagne, non tiene conto dell’integrazione al reddito derivante dall’attività agricola, ma viene trainata esclusivamente dal valore dell’energia prodotta. Quest’ultima si vende a 150 euro a megawattora e già a 7080 euro l’impianto sarebbe remunerativo.
L’impatto sul mercato fondiario è immediato. Gli affitti oscillano tra 2.500 e 3.500 euro all’ettaro all’anno con contratti minimi di 20 anni, ma in Pianura Padana si arriva a quattromila euro con rivalutazione Istat e durata trentennale. Non sono pochi gli agricoltori tentati di appendere il badile al chiodo e affittare i propri ettari a chi li userà per “coltivare” il Sole: secondo un’indagine Crif su 5 milioni di imprese, quasi seicentomila possono ospitare un parco agrisolare e quasi cinquemila sono pronte a farlo. La diatriba in corso a livello politico è se favorire il fotovoltaico sui tetti, volto a sostenere prevalentemente l’autoconsumo e finanziato dal Pnrr fino all’80%, o quello a terra, che non gode di forti incentivi ma corre sulla spinta della tariffa elettrica. Nel primo investono gli agricoltori e nel secondo – particolarmente se si tratta di grandi impianti – soprattutto investitori e società industriali. Esiste una politica ambientale che stimola questa crescita.
L’Italia è impegnata a installare 63 gigawatt di energie rinnovabili entro il 2030 e il 60% potrebbero venire proprio dagli impianti fotovoltaici. In questo percorso potranno avere un ruolo anche le imprese agricole, la cui produzione di fotovoltaico già oggi rappresenta il 10% delle energie rinnovabili nel nostro Paese. Tutta l’operazione “Parco agrisolare” ne vale solo 1,5. A fine 2023 (dati GSE), la superficie occupata dagli impiancentivi ti a terra era di 16.400 ettari pari allo 0,14% della Superficie agricola utilizzata. Le confederazioni agricole sono preoccupate che si coltivi più Sole che frutta e pomodori. Il presidente di Cia Agricoltori italiani Cristiano Fini parla chiaramente di «fotovoltaico a terra solo su terreni non coltivabili, ma bisogna garantire gli agricoltori: per impedire l'abbandono delle aree interne è necessario infatti assicurare un reddito adeguato ». Non è un no a prescindere a impianti più importanti: « Il fotovoltaico sui tetti dei capannoni e delle aziende agricole – precisa Fini – non sarà sufficiente a garantire una completa transizione energetica nelle campagne e occorrerà, quindi, avere la possibilità di ricorrere anche a degli impianti fotovoltaici “di scopo” che mettano insieme mondo agricolo con realtà industriali e finanziarie per un patto di sviluppo sostenibile».
Più deciso il pollice verso della Coldiretti: «Mentre la realizzazione di parchi agrisolari valorizza la produzione dell’azienda agricola che spesso è energivora, negli altri casi vi è un arretramento dell’agricoltura che non possiamo condividere» ammette Stefano Masini, responsabile dell’Area Ambiente e del Territorio. La bonomiana ha insistito perché nel 2024 fosse vietato finanziare l’installazione di pannelli a terra. Un ulteriore cambio di passo è arrivato con il Pnrr, che ha vincolato gli in agli impianti agrivoltaici avanzati al rispetto di altezze dei pannelli compatibili con le attività agricole e zootecniche. Ma nessuno ha fissato quei limiti per l’agrivoltaico industriale che segue ancora le linee guida del Crea e del ministero dell’ambiente, unici riferimenti di questa complicata materia. Ci sono regioni, come la Lombardia, che hanno messo dei pa-letti, ma non basta.
«Noi desideriamo che le imprese investano in innovazione energetica ma riteniamo che debba esser l’agricoltore a produrla e che l’impianto debba essere funzionale alla dimensione e struttura aziendale; soprattutto, non è pensabile sacrificare centinaia di ettari in aree Dop» conclude il dirigente Coldiretti. Confagricoltura è favorevole agli investimenti nell’agrivoltaico, ma anch’essa, come spiega il direttore dell’area Sviluppo Sostenibile Donato Rotundo, è convinta che «bisogna favorire una sinergia tra la produzione di energia e quella agricola o zootecnica attraverso investimenti delle stesse imprese agricole; gli investimenti dei grandi gruppi industriali vanno indirizzati verso i terreni meno vocati alle produzioni agricole ad alto valore aggiunto, che qualificano il made in Italy».