Ci volevano la crisi dell’eurozona e la "coppia" Merkel-Sarkozy per riportare in auge la famosa Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie (Ttf) come strumento per frenare la speculazione ritenuta responsabile dei peggiori disastri finanziari degli ultimi anni. Un’idea rilanciata con forza dal 2009 nel pieno della tempesta seguita al fallimento della Lehman Brothers; e poi caldeggiata invano dalla Merkel al G20 del giugno 2010, quindi dal Parlamento Europeo che a marzo ha approvato una risoluzione per chiedere alla Commissione Europea di studiare la questione; e, infine, un mese fa, dal presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso come strumento di finanziamento dell’Ue.Già nell’ottobre del 2010 il commissario alla Tassazione Algirdas Semetas aveva presentato prime idee, sostenendo che un prelievo dello 0,1% sulle transazioni finanziarie avrebbe prodotto a livello globale un gettito di 60 miliardi di euro senza contare i derivati – o, includendo questi ultimi, fino a 10 volte tanto. Ieri a Bruxelles una portavoce dell’esecutivo Ue ha affermato che la Commissione metterà a punto proposte su una tassa per le transazioni finanziarie a livello Ue entro il vertice del G20 il 3-4 novembre in Francia. Secondo la Commissione, l’imposta «potrebbe essere uno strumento appropriato per ridurre l’eccessivo livello di rischio che viene preso».Le reazioni generali, a parte quella pessima dei mercati, ieri sono state miste, con molti toni negativi. Fuori dall’euro, si è espressa in modo contrario anzitutto la Gran Bretagna, che a Londra ospita la maggior piazza finanziaria d’Europa. Un portavoce di Downing Street ha dichiarato che la Ttf «dovrebbe essere applicata globalmente, altrimenti le transazioni colpite si sposterebbero semplicemente in Paesi dove la tassa non è applicata». Critica anche la Svezia, che introdusse negli anni Ottanta una tassa su azioni, bond e derivati salvo poi abrogarla nel 1991 dopo un tracollo dei volumi di affari in Borsa. Il ministro delle Finanze di Stoccolma Peter Norman ha affermato che «è arduo capire come questa tassa nell’Unione Europea possa avere effetti positivi».Proprio la questione della globalità è uno dei punti chiave. Nell’autunno 2009 il segretario al Tesoro Usa Timothy Geithner considerò brevemente l’ipotesi, per poi scartarla proprio sulla base di questo argomento. E al momento Paesi come India, Brasile o Cina non appaiono favorevoli all’idea. In ambito eurozona, da non dimenticare le forti perplessità del presidente della Bce Jean-Claude Trichet e dal suo futuro successore Mario Draghi, nel corso dell’audizione al Parlamento Europeo lo scorso giugno aveva indicato come una delle condizioni della tassa proprio che sia applicata a livello globale. Draghi avanzava inoltre dubbi legati alla difficoltà di definire le operazioni speculative. Da parte dei paesi membri di Eurolandia, ieri le reazioni sono state miste. Entusiasta è apparso il cancelliere austriaco Werner Feyman, che ha parlato di un «mezzo importante per accrescere la giustizia sociale anche a livello europeo». Contraria l’Olanda. Da Dublino, il ministro delle Finanze irlandese Michael Noonan ha invece avvertito che l’Eire appoggerà una simile tassa solo se sarà estesa comunque a tutti e 27 gli stati membri. Tiepida la Finlandia, contrario il Lussemburgo che ospita numerosissime istituzioni finanziarie.Forti perplessità ha espresso più volte, nei mesi passati, anche il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Fuori dalla politica, da registrare la dura presa di posizione di Deutsche Börse. «La tassa sulle transazioni finanziarie – ha affermato l’operatore della borsa germanica in un comunicato – non è adeguata ad aumentare stabilmente la sicurezza e l’integrità dei mercati finanziari». Una simile proposta, ha aggiunto, spingerebbe a investire «su piazze e prodotti finanziari non regolati». Anche la federazione bancaria tedesca Bvr ha definito «inadeguata» la proposta. «L’industria dei servizi finanziari – ha detto anche Simon Lewis, che guida l’Associazione per i mercati finanziari in Europa – non dovrebbe esser vista come una fonte addizionale di entrate fiscali, ma come parte essenziale per la stabilità e la sostenibilità economica». Merkel e Sarkoyz, però, per ora non si fanno impressionare dalle critiche e tirano dritto.