45mila italiani in smartworking dal Sud Italia - Fotogramma
E' l'ultima frontiera dello smartworking: fare le valigie e trasferirsi a casa propria, nelle regioni del Mezzogiorno, lasciando le grandi città dove prima della pandemia si era obbligati a risiedere. Guadagnando in qualità della vita grazie alla presenza dei familiari, del clima e dei prezzi più convenienti. Un fenomeno inziato quest'estate e che continua a crescere. A quantificarlo, sia pure in difetto, è lo Svimez in una ricerca anticipata oggi che verrà pubblicata il 24 novembre.
Sono quarantacinquemila i lavoratori delle grandi aziende del Nord che dall'inizio della pandemia lavorano in smartworking dal Sud emerge dall'indagine realizzata da Datamining per conto della Svimez su 150 grandi imprese, con oltre 250 addetti, che operano nelle diverse aree del Centro Nord nei settori manifatturiero e dei servizi. Una cifra quella dei quarantacinquemila lavoratori - spiega Svimez - che equivale a 100 treni Alta Velocità riempiti esclusivamente da quanti tornano dal Centro Nord al Sud. "Il dato - prosegue la ricerca - potrebbe essere solo la punta di un iceberg. Se teniamo conto anche delle imprese piccole e medie (oltre 10 addetti) molto più difficili da rilevare, si stima che il fenomeno potrebbe aver riguardato nel lockdown circa 100 mila lavoratori meridionali". Discorso a parte andrebbe fatto per la pubblica amministrazione dove il ricorso allo smartworking viene incoraggiato dall'inizio della pandemia. Lo studio ricorda che attualmente sono circa due milioni gli occupati meridionali che lavorano nel Centro-Nord. Dall'indagine emerge inoltre che, considerando le aziende che hanno utilizzato lo smartworking nei primi tre trimestri del 2020, o totalmente o comunque per oltre l'80% degli addetti,"circa il 3% ha visto i propri dipendenti lavorare in southworking".