Belinda Howell
Smart working sì? Smart working no? Si tratta di un aut aut già superato: lo scenario che si sta delineando nel mondo del lavoro riguarda flessibilità e nuove forme ibride di organizzazione che permettano di conciliare i tempi del lavoro e della famiglia. In Italia, secondo il Randstad Workmonitor 2023, il 58% delle persone non accetterebbe un lavoro che influisse negativamente sull’equilibrio tra lavoro e vita privata e il 33% afferma di aver lasciato la precedente occupazione perché non si adattava alla sua vita personale (39% nella fascia 18-24). Il fattore più importante per gli italiani nel lavoro è l’equilibrio con la vita privata, indicato dal 96% del campione, seguito dalla retribuzione (95%), dalla sicurezza del lavoro (91%) e dalla flessibilità di orario (83%).
Uno dei vantaggi del lavoro da remoto è la possibilità di lavorare da dove si vuole. Ad esempio da un paesino del Sud Italia, lontano dalle grandi aree metropolitane e dalle regioni più ricche. Il fenomeno noto come “Southworking” è alla base nel modello diffuso di Bee, società del gruppo Growens con sede a San Francisco, lanciata nel 2014, che si occupa di creare strumenti di content design. Il Ceo di Bee è un italiano che da 30 anni vive negli Stati Uniti e ha dato vita a un’azienda che si basa su di un mix di successo che ha messo insieme la cultura della Silicon Valley con quella italiana, valorizzando i tratti migliori di entrambe. Il 56% dei dipendenti italiani, tra cui sviluppatori, product manager e designer, vivono e lavorano da piccoli Comuni del Mezzogiorno.
«Per Bee – ha spiegato il Ceo Massimo Arrigoni – la modalità 100% da remoto è stata innanzitutto una scelta strategica: rimuovendo i vincoli geografici, diventa più facile trovare il talento migliore a costi gestibili da una startup. Ma il lavoro remoto ha anche un aspetto macroeconomico che ci piace moltissimo: produce una distribuzione della ricchezza dal punto di vista geografico che inverte la tendenza alla concentrazione dei talenti nelle grandi città per creare sinergie su tutto il territorio. Nel nostro caso, vendiamo software nella Silicon Valley, ma lo produciamo attraverso l’impiego di tanti talenti italiani sparsi su tutta la Penisola. Questo genera ricchezza nel tessuto produttivo in Italia, offrendo alle persone la possibilità di vivere un percorso di carriera di valore internazionale vicino a casa e dando nuova linfa alle economie locali». Con lo stesso obiettivo di decentrare il lavoro, il gruppo Growens ha aperto il Cagliari Innovation Lab, un centro di Ricerca & Sviluppo, con l’obiettivo di creare nuovi prodotti e tecnologie e alimentare l’innovazione tecnologica con talenti provenienti dall’Università di Cagliari. Anche in questo caso la scelta è stata quella di investire in una provincia italiana non centrale, ma tecnologicamente fertile, in cui sono già presenti e attive numerose realtà aziendali. «Vogliamo garantire la massima flessibilità alle persone, supportando la miglior integrazione tra aspirazioni di carriera e qualità della vita» ha spiegato Enrica Lipari, direttrice del personale a Growens.
Grazie all’ascolto delle esigenze dei suoi dipendenti è cresciuta in flessibilità anche Amgen, tra i leader mondiali nelle biotecnologie farmaceutiche, con 300 dipendenti in Italia. Sul tavolo un modello di lavoro che assicura possibilità di scelta tra attività da remoto o in sede, secondo tempi e modalità compatibili sia con le esigenze personali sia con gli obiettivi aziendali. Amgen ha messo in campo un “Accordo sul lavoro agile” sottoscritto con le rappresentanze dei lavoratori, che si svincola dagli orari e dagli spazi e combina i vantaggi del lavoro da remoto e in presenza, lasciando ai dipendenti facoltà di scelta. Vi è la possibilità di distribuire le 8 ore lavorative su un intervallo di tempo più ampio, dalle 7 alle 20, svolgere il lavoro da remoto ovunque ci si trovi, garantendo la presenza in sede un minimo di due giorni al mese per beneficiare del lavoro in team e favorire lo scambio di esperienze. «La scelta di promuovere una formula di flexible working è frutto di un’organizzazione matura che incentiva, ormai da anni, modelli di lavoro agile» ha sottolineato Livia Alessandro, direttore delle Risorse Umane di Amgen Italia. «Alla base c’è la fiducia nei dipendenti e una forte propensione all’ascolto: favorire un approccio flessibile ai tempi di lavoro si inserisce in un percorso che mira a un sempre più attivo coinvolgimento del collaboratore, consentendo di valorizzare al meglio le sue capacità, esaltandone il contributo e il senso di responsabilità». Il 98% ha apprezzato questo modello di lavoro più flessibile, il 73% lo ritiene un “vantaggio competitivo” per Amgen, in grado di attrarre e trattenere i talenti in azienda.
Se il lavoro ibrido si sta affermando come la nuova normalità, restano, però, ancora molte incognite su quali altri effetti a lungo termine possano provocare le nuove modalità di organizzazione del lavoro al di fuori delle aziende stesse: alcuni esperti hanno stimato che i valori degli immobili per uffici scenderanno del 39% rispetto ai livelli pre-pandemici nei prossimi anni. Gli economisti prevedono un “ciclo negativo” per le aree commerciali urbane: con meno persone che si spostano nei quartieri del centro, la vendita al dettaglio e i servizi, come la ristorazione e i trasporti, ne risentiranno.