venerdì 11 agosto 2023
Il gigante della distribuzione ha messo nel mirino i dipendenti che non si recano in ufficio almeno tre volte a settimana. In crisi il gigante del coworking WeWork: perdite per 696 milioni nel 2023
Usa, pressing delle aziende sulla presenza. Amazon richiama i lavoratori

Ansa

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E insomma pare che dalla carota si sia passati al bastone, dalle esortazioni amichevoli e dall’atteggiamento accomodante erga omnes alle email singole per richiamare al presunto ordine. Tempi duri per lo smartworking, anche negli Stati Uniti: se nei giorni scorsi aveva fatto notizia la scelta di Zoom – società icona del lavoro fuori sede - di richiamare i propri dipendenti al lavoro in presenza, ora sono Amazon e altri giganti in diversi settori a cambiare le regole d’ingaggio. Il tutto nonostante i consulenti del lavoro avvertano: attenzione, perché i lavoratori non accettano più ultimatum e sono pronti a cambiare azienda se non viene maggiormente rispettato il “work-life balance”, l’equilibrio tra lavoro ed altre esigenze di vita.

Riferisce il Financial Times che Amazon ha monitorato le presenze dei lavoratori basati negli Stati Uniti e messo nel mirino quelli che non hanno rispettato la policy aziendale del lavoro “ibrido”, parte in presenza e parte in smartworking. A questi dipendenti è stata così recapitata un’email, nella quale è stata sottolineata la necessità di unirsi ai colleghi in ufficio. “Ci aspettiamo che tu inizi a recarti in ufficio per tre o più giorni a settimana”, recita l’email, inviata ai dipendenti che non hanno utilizzato il badge aziendale per meno di tre giorni settimanali negli ultimi due mesi. La policy dei tre giorni in ufficio era stata avviata da Amazon lo scorso 1° maggio. Una scelta analoga a quella di un altro gigante come Google, che ha anche informato i dipendenti che la stessa presenza in ufficio farà parte del monitoraggio delle performance. Anche Publicis, importante agenzia di pubblicità, ha avvertito il suo staff che la mancata presenza per almeno tre giorni a settimana influirà su aumenti di salari e aspettative di promozione.

Sono molte le aziende avviate su questi binari. Zoom, la compagnia di video conferenze utilizzata in tutto il mondo e che ha avuto il suo boom al tempo della pandemia, ha comunicato ai suoi dipendenti che vivono entro 50 miglia da uno dei suoi uffici l’obbligo di lavorare in presenza due giorni a settimana. Il gruppo bancario Citigroup ha sottolineato che considererà i dipendenti “responsabili” se non adempiranno alle policy aziendali sul lavoro in presenza. Insomma, la flessibilità mostrata per tre anni dalle aziende sta cambiando volto anche negli Stati Uniti. Al tempo della pandemia, molte aziende, tra cui Facebook e Twitter, avevano annunciato che i propri dipendenti avrebbero potuto lavorare da casa per sempre. “Quello che ora le aziende stanno dimenticando è che c’è sempre una guerra per aggiudicarsi i migliori talenti e che i lavoratori oggi hanno più opzioni di quelle che avevano un tempo”, sottolinea Neda Shemluck, manager del gigante della consulenza Deloitte.

Insomma, non è affatto detto che le aziende possano trarre vantaggio da un atteggiamento restrittivo: soprattutto i giovani in cerca di lavoro valutano proprio lo smartworking tra le caratteristiche che rende più o meno appetibile una posizione lavorativa rispetto ad altre. “Per ogni azienda che richiama i lavoratori in presenza, ce n’è un’altra pronta a fare il contrario”, spiega Nick Bloom, docente di Economia a Stanford, secondo cui questo è vero soprattutto in settori come le risorse umane o l’informatica. Secondo Bloom, molti lavoratori sono anche d’accordo sull’effettuare una parte di lavoro in presenza, ma sono meno pronti ad accettare obblighi in tal senso.

Tra le aziende che rischiano invece di restare vittima dello smartworking c’è WeWork, fornitore di spazi di coworking, un tempo valutata 40 miliardi e che quattro anni fa si stava avviando a un’Ipo di successo in Borsa e ora sull’orlo del possibile fallimento. Molte aziende, votatesi allo smartworking a causa della pandemia, sono state infatti portate a recedere dai contratti di locazione di spazi-ufficio, lasciando WeWork pesantemente indebitata e in crisi di liquidità. Nei primi sei mesi del 2023 l’azienda ha perso 696 milioni di dollari e ha appena comunicato di avere “dubbi sostanziali” sulla sua capacità di rimanere in attività. L’occupazione dei suoi spazi, dopo alti e bassi, si è attestata nel secondo trimestre 2023 al 72%, non abbastanza rispetto alle perdite subite.

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