La finanza a impatto viaggia su un cammino virtuoso, anche se la strada da percorrere affinché si imponga con decisione in Italia è ancora lunga». Fabio Salviato, presidente e amministratore delegato di Sefea Impact (prima Sgr in Italia a gestire fondi chiusi riservati con una strategia esclusivamente di impact investing) è convinto che ci siano ampi margini di crescita per le tipologia di investimento sostenibile.
Presidente, a che punto è il mercato a livello europeo e a livello italiano?
Dall’inizio del nuovo millennio in poi è stato fatto un gran lavoro prima sul piano comunitario e successivamente a livello nazionale per individuare il concetto e le aree di azione della finanza sostenibile e a impatto. I pilastri su cui basare la crescita presente e futura sono fondamentalmente tre: ambiente (con tutte le declinazioni che ne derivano), sociale e innovazione. In Italia i margini di sviluppo sono enormi e l’impact investing può risultare uno strumento efficace in un contesto produttivo come quello del nostro Paese, composto per il 97% da Pmi.
Come e in che tempi può svilupparsi questo mercato?
Nomisma ha valutato che c’è un potenziale di investimento di 20 miliardi entro il 2020 da parte di investitori istituzionali. C’è la necessità di iniettare capitale sociale sociale sul mercato.
È per tale ragione che avete creato il fondo "Sì Social impact"?
Certo, anche perché gli strumenti già presenti non avevano le caratteristiche adatte. Da tempo l’Europa suggerisce di puntare sulla finanza a impatto per favorire un’economia sostenibile e responsabile. La creazione di Sefea Impact, la prima sgr a impatto sociale autorizzata da Banca Italia e Consob, è andata in questa direzione. Con il Fondo Sì, che è uno strumento d’investimento Euveca (European venture capital fund) di tipo chiuso, riservato ad investitori istituzionali, l’obiettivo è lo sviluppo di un settore di imprese capaci di fornire, in maniera sostenibile nel lungo termine, risposte adeguate ai bisogni della società generando consapevolmente un impatto sociale positivo misurabile sulla comunità a livello sociale, ambientale, culturale. Si punta a una produzione di un impatto sociale positivo sulla collettività, insieme al conseguimento di un rendimento economico. È un errore enorme pensare che i due aspetti non possano andare a braccetto.
Quali traguardi avete già raggiunto e quali altri avete prefissato di tagliare nel prossimo futuro?
Abbiamo già perfezionato il primo closing con una raccolta di 15 milioni di euro e puntiamo ad arrivare a 60 milioni entro settembre del 2019, ovvero a due anni dalla partenza. Ogni investimento va da un minimo di 300mila euro di capitale sociale a un massimo di 2-3 milioni, ma diciamo che già una cifra da 500mila euro può essere considerata una buona soglia. Per quanto riguarda gli investitori c’è la Fondazione Con il Sud che per prima ha investito 10 milioni, stiamo valutando una decina di fondazioni di origine bancaria per il secondo closing e poi abbiamo registrato manifestazioni di interesse da altre categorie di soggetti: dai fondi pensione alle banche popolari.
In quali campi operate?
È un fondo social impact generalista, che opera quindi in diversi settori quali ad esempio l’agricoltura (biologica), turismo (responsabile), l’energia (rinnovabile), cooperazione sociale, etc. Per il momento siamo valutando circa 40 imprese per il nostro portafoglio di riferimento.
Ci sono ostacoli normativi o c’è una cornice adeguata per operare in Italia?
Il legislatore europeo ha orientato il mercato nella giusta direzione. Anche in Italia c’è una normativa di riferimento rispetto alla possibilità di fare una società di gestione di risparmio a impatto sociale. Il costo di attivazione del fondo Euveca è ancora sostenuto (500-600mila euro) rispetto a Paesi come Francia e Lussemburgo, ma confidiamo che una diffusione del mercato possa contribuire ad abbassare questo importo.