La rivoluzione digitale ha cambiato in modo radicale il lavoro, cancellando alcune professioni e facendone emergere di nuove. Ad analizzare questa trasformazione, fornendo spunti di riflessione per elaborare una strategia per combattere la disoccupazione giovanile partendo dalla formazione, il focus di Censis e Confcooperative «4.0 la scelta di chi già lavora nel futuro» presentato oggi a Roma. Una ricerca che smentisce le previsioni catastrofiche sugli effetti della tecnologia sull’occupazione. «La sola colpa dell’innovazione, se mai di colpa si può parlare, è di cercare professionalità che non si trovano» si legge nel rapporto.
Negli ultimi cinque anni gli occupati nel segmento più qualificato dell’Ict (Information and communication technologies) sono cresciuti del 52% ma all’appello mancano 62mila professionisti che le imprese non riescono a trovare. La maggiore concentrazione di richieste, circa il 42%, riguarda la figura del developer, lo sviluppatore di applicazioni web, con oltre 26mila posizioni scoperte. Segue a distanza la figura dell’analista di sistemi informativi con 8.800 richieste, il 30% in più rispetto al 2015. Maurizio Gardini presidente di Confcooperative sottolinea la necessità di «un investimento straordinario in formazione e innovazione». In Italia, solo l’8,3% dei lavoratori è impegnato in programmi di formazione permanente, al di sotto della media europea 10,8%. Passi avanti sono stati fatti sul fronte della formazione universitaria. Nel giro di due anni il numero degli iscritti ai corsi di studio nell’area digitale è aumentato del 6,8% contro il 2,8% dell’intera area scientifica, mentre gli iscritti totali sono aumentati dello 0,9%.
In termini di peso relativo, oggi in Italia, su 100 occupati 3,3 sono riconducibili alle professioni Ict, mentre solo 1 su 100 è un "professionista Ict ad elevata qualificazione". In termini assoluti, l’occupazione nell’ambito informatico ha raggiunto nel 2016 le 755mila unità, con un incremento di 82mila addetti rispetto al 2011. In sei anni, mentre l’occupazione totale rimaneva stazionaria, sono aumentati del 12,2%. Gli specialisti Ict sono 234mila, 80mila in più (circa il 52%).
La velocità del digitale rispetto al resto dell’economia appare evidente se si considera che le 111mila imprese digitali attive crescono in sei anni del 17,6%, passando dall’1,8% al 2,2% sul totale delle imprese attive italiane; le imprese del commercio al dettaglio via Internet sono raddoppiate nell’arco di sei anni (+99,6%), passando da poco più di 8mila a quasi 17mila. A sopresa sono le regioni del Sud a crescere di più: Campania, Sicilia e Puglia. Seguono a distanza Veneto, Toscana, Emilia Romagna e Lombardia. Sono imprese dedite a produzione di software, consulenza informatica, elaborazione dati, hosting, portali web, edizione di software, erogazione di servizi di accesso a Internet e altre attività connesse alle telecomunicazioni e alle vendite. Tra le certezze che il digitale ci obbliga a rivedere c’è quella che vede nel Mezzogiorno la parte più lenta del Paese: azzerando i vantaggi competitivi legati al territorio e alle infrastrutture ha messo le regioni del Sud in grado di combattere ad armi pari. E i risultati non si sono fatti attendere.