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«Non vedo l’ora di iniziare». Sta negli occhi lucidi di Mohammed – che si allargano in un sorriso quando gli chiediamo cosa ne pensa del percorso in cui è stato inserito – il senso dell’iniziativa presentata a inizio settimana alla Casa Circondariale del Bassone di Como. Si tratta di un progetto imprenditoriale innovativo, tecnologico e altamente qualificante sviluppato all’interno del carcere, che comprende anche la sistemazione di un’intera ala della struttura: 180 metri quadri di spazi rimessi a nuovo, ritinteggiati e con gli impianti a norma che accolgono laboratorio di cablaggio e assemblaggio di quadri elettrici, palestra, aula informatica. Tutto è partito due anni fa da un’idea di don Gino Rigoldi – storico cappellano del minorile “Beccaria” di Milano –, e ha catalizzato un insieme di realtà pubbliche e private: l’istituto di pena comasco, il gruppo Intesa Sanpaolo, l’azienda MekTech di Giussano (Mb), la Cooperativa Ozanam di Saronno (Va), il Provveditorato regionale lombardo per l’amministrazione penitenziaria e il Centro servizi per il Volontariato dell’Insubria. «Dal carcere di Como arriva un messaggio di speranza concreto, che parla di futuro e dignità», ci ha detto don Rigoldi.
In cosa consiste il progetto? Il Gruppo MekTech, specializzato nella progettazione e costruzione di impianti e apparati motorizzati, utilizzerà, per i propri sistemi robotizzati, quadri elettrici complessi, prodotti all’interno del carcere del Bassone negli spazi ristrutturati grazie a fondi ministeriali e al sostegno economico di Intesa Sanpaolo. Li realizzeranno undici detenuti, dipendenti della Ozanam, cooperativa da trent’anni impegnata in programmi di reinserimento lavorativo di persone fragili. I lavoratori sono stati selezionati dagli educatori del Bassone a partire da competenze pregresse e attitudini personali. Hanno seguito un “corso di formazione per tecnico cablatore ed elettricista”, con il rilascio di un’attestazione che ne certifica partecipazione e qualificazione. Questo percorso si traduce in un lavoro e in uno stipendio: oggi all’interno del carcere, domani in un’azienda, in una logica di giustizia riparativa che permetta, a chi abbia scontato la pena per i reati commessi, di reinserirsi e integrarsi nella comunità da cui si è allontanato a causa dei propri errori.
«Ci sentiamo dei pionieri – ci hanno raccontato i detenuti –, siamo i primi undici… La prospettiva è che, dopo di noi, altrettanti possano avere questa possibilità». È stato come tornare a scuola, seduti al banco e con i fogli per gli appunti: «Una sensazione bellissima. Avere la testa occupata, investire il tempo in qualcosa di importante per noi, per le nostre famiglie, per i nostri figli». È un lavoro che apre prospettive: «è una qualifica molto richiesta – aggiungono –: lavoriamo su sistemi basici ma fondamentali per il funzionamento di bracci robotici, ascensori, catene di montaggio, centrali di automazione. È una grande opportunità di cui siamo grati». «Ci vorrebbero decine di azioni come queste», è la riflessione del cappellano del Bassone padre Zeno Carcereri, che ci spiega: «al Bassone ci sono circa 400 detenuti fra sezioni maschile e femminile –. Un centinaio lavorano nei servizi del carcere. Ora c’è questa grossa opportunità. Il recupero parte da qui: è un tempo per mettere a frutto le proprie capacità». Il lavoro fa la differenza: «avere uno stipendio significa aiutare le famiglie, non dipendere dal pacco che i propri cari, spesso faticosamente, mettono insieme. È la gioia semplice di potersi permettere anche solo un caffè, magari da offrire agli altri».
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«Un progetto come questo serve al reinserimento delle persone detenute, anche in una prospettiva di piena integrazione multiculturale», è la sottolineatura del direttore del carcere comasco Fabrizio Rinaldi. Gli fa eco Maria Milano, del Provveditorato regionale: «sono iniziative che permettono di restituire alla società persone rinnovate, che, dopo lo strappo, diventano risorsa per la crescita di tutti». Secondo i dati di CNEL e Ministero della Giustizia, la popolazione carceraria italiana conta 60mila detenuti. Il 70%, dopo aver scontato la pena, è fortemente esposto al rischio di recidiva. Un tasso che si abbatte al 2% per chi abbia intrapreso e completato un percorso formativo e lavorativo. «Si creano opportunità nel luogo in cui tutto sembra azzerarsi» è la riflessione di Stefano Barrese, della “Divisione Banca dei Territori” di Intesa Sanpaolo, primo gruppo italiano a posizionarsi ai vertici mondiali per impatto sociale e leader europeo della finanza sostenibile. «Ed è in questo luogo di “non-opportunità” – riprende il concetto l’AD di MekTech Gaetano Sauli – che abbiamo trovato persone desiderose di imparare, di riprendere in mano le proprie vite sospese, oltre ogni pregiudizio».
«Il lavoro è dignità – osserva Edoardo Mazzucchelli, vicepresidente Ozanam – e riscatto: le “storie ai margini” diventano protagoniste di un progetto imprenditoriale». «Il contrasto alle povertà, primarie ed educative – è il pensiero di Paolo Bonassi, alla guida dell’Area dedicata all’impatto sociale di Intesa Sanpaolo – fa parte della nostra storia e missione. Attualmente siamo impegnati con progettualità in 31 carceri italiane. La povertà, in qualsiasi forma, non è ammissibile. Le diseguaglianze sono un ostacolo a sviluppo e autonomia. Creare valore per le persone fragili significa partecipare alla costruzione di una società più coesa e quindi generativa. Non vogliamo limitarci a erogare fondi, ma desideriamo essere parte delle iniziative che sosteniamo». «Abbiamo sentito risuonare più volte la parola opportunità – è la conclusione di Andrea Ostellari, sottosegretario alla Giustizia –. Chi è in carcere è responsabile delle azioni che ha commesso: i percorsi rieducativi sono occasioni per un cambiamento di vita e per la costruzione di una società più sicura che si fonda sulla legalità». E il progetto nato al Bassone è senza dubbio un’opportunità preziosa.