Il presidente francese Emmanuel Macron visita una fabbrica di scarpe - Ansa
Ogni tanto, uno Stato può azionare qualche leva per frenare l’inflazione? Al vecchio quesito da esame di economia politica, un “candidato” chiamato Stato francese crede oggi di poter rispondere di “sì”. O almeno, crede di poterlo fare per certi generi alimentari di base che si ritrovano nel carrello della spesa di quasi tutti i francesi, come pasta, altri prodotti a base di cereali, olio, pollame. Per i consumatori transalpini, “vessati” nell’ultimo anno da un rialzo storico del 14% dei prezzi dei generi alimentari, il sospiro di sollievo dovrebbe giungere da inizio luglio, secondo quanto ha appena promesso il ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, assicurando pure che non si tratterà di semplici ritocchi provvisori di facciata, ma dell’inizio spesso di un vero cambio di tendenza destinato ad accentuarsi nei mesi seguenti, soprattutto se i prossimi raccolti soddisferanno le previsioni in grandi Paesi esportatori come il Canada.
Ben settantacinque gruppi spesso multinazionali del settore hanno accettato di sedersi attorno a un tavolo con il titolare di Bercy, impegnandosi a praticare i ribassi quando il costo delle materie prime è di nuovo sceso di almeno il 20% dallo scorso marzo. Una sorta di “strappo” in positivo rispetto alle usuali regole piuttosto rigide della contrattazione dei prezzi in Francia, dove vige un calendario legale di 3 mesi invernali per fissare i punti d’accordo fra industriali e grande distribuzione su ogni categoria di prodotti, poi validi per un’intera annata. «Verificheremo e sanzioneremo quelli che non rispettano le regole», ha pure promesso Le Maire, su questo nodo che è divenuto la priorità assoluta dei francesi, al centro dunque di tante promesse politiche pure da parte delle opposizioni. I prodotti interessati sono in generale quelli per i quali i prezzi stanno già diminuendo sui mercati all’ingrosso.
In un Paese in cui l’alimentazione molto ruota attorno a latticini e carne, il ministro ha precisato che «il pollame calerà perché i costi di produzione sono calati», a differenza di quanto è avvenuto finora per la carne bovina e suina, o per il latte. Le Maire ha ricordato che il suo ministero non ha la bacchetta magica per regolare direttamente i prezzi: « Nondimeno, ha un potere d’ingiunzione rispetto ai distributori e agli industriali per dir loro di riunirsi, trovare degli accordi e fare abbassare i prezzi». Per i trasgressori che continueranno ad aumentare i margini dei profitti in modo ingiustificato, il ministro dichiara di prepararsi a divulgare i nomi. In modo ancor più stringente, Le Maire minaccia pure l’uso di «una tassa sui margini di profitto eccessivi ». Per Bercy, che vuole sguinzagliare i propri ispettori anti-frode per effettuare controlli nei supermercati, gli aumenti nei prezzi registrati l’anno scorso hanno già permesso praticamente a tutti di rifarsi delle eventuali difficoltà incontrate nelle due annate precedenti.
L’accordo è legato pure a una speciale legislazione sui profitti introdotta in due tappe, fra il 2018 e il 2021, dapprima soprattutto per tutelare i proventi dei piccoli agricoltori e allevatori, troppo spesso “schiacciati” dal potere di contrattazione dell’industria agroalimentare e delle catene di supermercati. In teoria, gli effetti di queste discussioni fra governo e produttori dovrebbero sommarsi al “trimestre anti- inflazione”, un’iniziativa delle cinque principali catene di supermercati che si sono impegnate a vendere al «prezzo più basso possibile» una selezione di prodotti di prima necessità, riconoscibili grazie a un logo tricolore, fra il 15 marzo e il 15 giugno. Un trimestre che i distributori si impegnano ora a prolungare fino a dicembre. Ma in proposito, la principale associazione di consumatori, Ufc, ha contestato l’impatto reale della misura, pubblicando uno studio da cui risulta che solo un marchio di supermercati ha finora lievemente ritoccato i prezzi reali su un centinaio di prodotti. Un avvertimento, dunque, anche per il nuovo dispositivo a carico dei produttori.