Luigi Sbarra (Cisl) al centro, tra Maurizio Landini (Cgil) a sinistra e Pierpaolo Bombardieri (Uil) a destra - Fotogramma
Quello di Enrico Letta non è un programma di governo, ma "solo" il discorso con cui ha conquistato la segreteria all’assemblea del Pd. E dunque non si poteva pretendere che il nuovo leader scendesse nei particolari. Tuttavia, alcuni dei temi toccati in materia economico-sociale sono decisamente importanti e meritano un approfondimento. A cominciare dai temi della «partecipazione» dei lavoratori e dell’«economia della condivisione».
Quest’ultimo termine contiene margini di ambiguità. Da ultimo è stato utilizzato per definire, piuttosto entusiasticamente, il nuovo modello della sharing economy che alla proprietà antepone l’affitto e quindi la condivisione con altri di beni fisici e servizi, grazie a piattaforme internet. Ma gli esiti, vedi il caso degli autisti Uber, non sempre sono felici. Più in generale può essere interpretato come sinonimo di un’economia collaborativa, in cui si valorizza un diverso rapporto, meno gerarchico e più collaborativo appunto, tra azienda, dipendenti e clienti stessi. Anche così, però, si resta piuttosto in superficie rispetto all’obiettivo di costruire un più compiuto modello di democrazia economica basato sullo sviluppo dei processi partecipativi dei diversi stakeholder. Cioè di tutti i "portatori di interesse": oltre alle imprese e agli azionisti, i lavoratori, i clienti, ma anche i cittadini che abitano i territori sui quali le attività insistono.
Enrico Letta, neosegretario del Pd - Ansa
In quest’ambito si inserisce anche l’altro importante accenno compiuto da Enrico Letta, quello relativo alla partecipazione dei lavoratori agli utili aziendali. Pure in questo caso si tratta di un elemento parziale di un sistema – quello della partecipazione imprese-lavoratori – che è molto ampio e che può essere declinato su quattro assi principali: l’informazione e consultazione fra azienda e lavoratori; la partecipazione organizzativa, nella quale datori e rappresentanti dei lavoratori condividono una parte delle scelte di gestione dell’impresa; la partecipazione economica quando una parte del salario dei dipendenti viene collegata in maniera variabile all’andamento economico dell’azienda. Infine, c’è la partecipazione finanziaria nella quale si prevede l’azionariato dei dipendenti in diverse forme e con diversi gradi di coinvolgimento negli organi dell’impresa. Quest’ultimo è lo snodo su cui si è soffermato il neosegretario del Pd, senza però precisare se «la distribuzione gratuita e in condizioni di favore» di utili vada al di là di un incentivo fiscale e presupponga anche un passo avanti verso una governance maggiormente condivisa delle imprese.
Quest’ultime sono state piuttosto fredde sull’argomento, tanto che non si è riusciti finora ad andare oltre il protocollo del 2018 in cui Confindustria e i sindacati confederali ponevano come obiettivo la creazione di un sistema di «relazioni più efficace e partecipativo». Ancora nel settembre scorso, nel volume «Il coraggio del futuro» presentato nell’ultima assemblea di Confindustria come programma per i prossimi 30 anni non si andava oltre la valorizzazione delle relazioni industriali e dei premi di risultato. Un deficit progettuale che caratterizza pure la Cgil e buona parte della sinistra.
Al contrario, la partecipazione è uno dei tratti costitutivi della Cisl. E il neosegretario Luigi Sbarra è l’unico a cogliere al volo l’assist del discorso di Letta e rilanciare nel concreto. «Cominciamo subito con l’azionariato delle aziende a partecipazione pubblica quotate come Enel, Eni e Leonardo. Ma anche Ilva e Alitalia, per le quali dobbiamo trovare nuove soluzioni. E ancora in prospettiva le Poste – ragiona Sbarra –. Il modello ideale è quello tedesco della Mitbestimmung con i rappresentanti dei lavoratori che siedono nei consigli di sorveglianza delle grandi imprese, svolgendo una funzione non solo di controllo ma di co-decisione riguardo alle scelte strategiche del management». Per la Cisl questo è finalmente il momento di agire – sfruttando anche le opportunità offerte dal Recovery Fund – non solo attraverso migliori relazioni industriali, ma con «una legge che favorisca fiscalmente la partecipazione azionaria dei lavoratori in forma collettiva e sostenga con sgravi i fondi contrattuali». Finora, 10 anni di tentativi legislativi al riguardo sono però andati a vuoto.